Fa un po’ strano parlare di piccole-medie imprese di successo, con lo spread che ha rivisto le stelle e la Borsa in totale fibrillazione. Forse però il momento è proprio questo. Fotografa perfettamente il Paese, e i rischi che corre. Da un lato le aziende che, a dispetto di tutto, hanno investito, innovato, sconfitto la Grande Crisi (globale) a ritmi straordinari di crescita; dall’altro la politica impazzita come mai prima e il conseguente pericolo di ripiombarci, nella crisi (che questa volta sarebbe tutta nostra). Di qua l’Italia che genera futuro. Di là chi con il futuro gioca d’azzardo. Dunque no: non è fuori dal mondo, continuare il racconto di quel pezzo di Paese che produce, dà lavoro, si inventa mille modi di battere la concorrenza internazionale.
E se è un caso, che il lungo viaggio di «L’Economia» e ItalyPost tra gli imprenditori di sconosciuto successo stia per concludersi in un clima surreale, alla fine a uscirne moltiplicato è il valore simbolico (anche) dell’ultima tappa. È a Napoli che, venerdì 15, si concluderà il percorso iniziato quattro mesi fa.
Gli incontri con i 500 Champions italiani – vale la pena ricordarlo: insieme fatturano 21,7 miliardi, se fosse possibile considerarli un unico gruppo sarebbero la seconda realtà manifatturiera dietro Fca e davanti a Luxottica – si chiuderanno com’erano iniziati: con un bis dell’evento organizzato il 16 marzo a Milano, in Borsa, per festeggiare il primo compleanno de «L’Economia». Nel capoluogo campano, insieme (tra gli altri) alla presidente Enel, Patrizia Grieco e al numero uno di Adler Group, Paolo Scudieri, festeggeremo invece «l’altro Sud». Quello cui non pensiamo mai, che spesso nemmeno immaginiamo: e se ne sentiamo parlare, di aziende d’eccellenza a Mezzogiorno, andiamo per prima cosa a controllarne la «patente di legalità».
È la dimostrazione plastica di quanto sia infinitamente più difficile fare «buona impresa» mano a mano che, dal Nord industrializzato, si scende per la Penisola. E allora: i Champions del Sud sono pochi? Certo. Ovvio. Ma quelle 37 società top performer pesano in qualche modo ben oltre il 7% che la matematica attribuisce loro rispetto al totale – numerico e di fatturato – delle 500 migliori Pmi nazionali. E non è vero, per nulla, che proprio tutti gli smisurati finanziamenti pubblici da sempre versati «in conto industrializzazione» siano finiti nelle tasche di chissà chi e bruciati chissà dove. Per dire: i distretti campani dell’aerospaziale o dell’automotive, nati attorno alla vecchia Alenia e alla Fca di Pomigliano, di Champions ne hanno prodotti parecchi. Il gruppo di Scudieri – 1,4 miliardi di fatturato, Borsa non lontana – è in fondo solo il portabandiera di una pattuglia di «piccoli» che forse un giorno avvicineranno le dimensioni di Adler, forse no, ma intanto crescono, fanno utili e li reinvestono, innovano quanto e come la migliore imprenditoria del Nord. Le loro performance non bastano, nemmeno sommate a quelle dei «campioni» dell’alimentare o di chi ha saputo uscire dai sottoscala del terzismo tessile e creare propri brand di successo, a bilanciare i troppi mali strutturali del Meridione. Ma meritano di essere raccontate. Sono il modello da contrapporre a quanti, guardando a Sud, vedono solo chi corre a chiedere il reddito di cittadinanza ventiquatt’ore dopo il voto delle illusioni.