L’ impatto del capitale umano sulle performance aziendali è un tema che assilla da sempre chi guida le imprese. Da una parte, si sa che la scarsità di capitale umano adeguato depotenzia gli effetti degli investimenti in innovazione, tecnologia, impianti e ridisegno dei processi, perché li priva di persone sia competenti sia disponibili a metterci impegno e coinvolgimento nel seguire le traiettorie di sviluppo dell’impresa. Dall’altra parte, si sa che la creazione del capitale umano adeguato è un processo lento, costoso, in parte tailor made e non è detto che l’impresa che finanzia la sua formazione sia anche quella che si appropria del valore economico generato.
I Champions forniscono una prima chiave di lettura per uscire dall’impasse. Dalle elaborazioni InfoCamere su dati Registro Imprese/Inps si ricava la radiografia del loro capitale umano rispetto alle imprese di pari fatturato che non hanno ottenuto gli stessi risultati, lungo tre assi: distribuzione per tipo di contratto, composizione per tempo di lavoro, struttura per livelli di inquadramento.
Quasi il 90% delle maestranze dei Champions (88,7%) ha un contratto a tempo indeterminato, mentre nelle impatto del capitale umano sulle performance aziendali è un tema che assilla da sempre altre si ferma all’84,1%. La stabilità della relazione alimenta il contratto psicologico tra datore di lavoro e collaboratore ed è una delle condizioni che incide positivamente sulla propensione a mettere risorse e impegno nello sviluppo di competenze, a volte uniche, utilizzabili solo nella specifica azienda. È una combinazione reciprocamente conveniente: per le imprese è razionale investire perché, al netto delle scelte di mobilità volontaria, c’è l’aspettativa di creare fattori di unicità difficilmente replicabili dai concorrenti e di coglierne i risultati tangibili; per chi lavora è razionale farlo con determinazione, perché c’è l’aspettativa di poter valorizzare le competenze in termini di autorealizzazione e di status (e non solo in termini retributivi).
Il 91,9% di chi lavora nei Champions ha un contratto a tempo pieno e solo l’8,1% a tempo parziale, mentre nelle altre imprese della stessa dimensione il part time sale fino al 19,4%. Dal lato dei lavoratori, opta per questo contratto chi deve conciliare esigenze tra loro diverse (di famiglia, di lavoro, di altra natura), a volte per scelta e altre volte per necessità (o carenze del sistema di welfare): in ogni caso, si tratta di persone che devono anche fare altro e, conseguentemente, pur impegnandosi in modo adeguato, hanno minori stimoli e incentivi a sviluppare nuove competenze, perché anche per loro il ritorno dell’investimento sarebbe limitato. Lo stesso vale per le imprese che tenderanno a gestire con questi contratti le attività più standardizzate e meno rilevanti per la competitività.
I Champions hanno performance più elevate con una minore incidenza di dirigenti e quadri (4,1% rispetto a 4,8%) e di impiegati (38,0% contro 40,3%), ma con una pattuglia ben più consistente di giovani assunti con contratto di apprendistato (3,9% a fronte del 2,1%). È sul «combinato disposto» di queste due informazioni che si specchia la diversità dei Champions.Non ci sono tante alternative per ottenere brillanti risultati con linee manageriali intermedie più ridotte. È necessario che l’impresa sia nelle mani di figure imprenditoriali capaci di immaginare la strategia e di indicare le modalità per la sua implementazione, che l’impresa sia ben organizzata in termini di strutture e processi decisionali e che, probabilmente anche per queste ragioni, sappia attirare e trattenere i manager più preparati sul mercato. È noto che chi si sente capace è nelle condizioni di scegliersi il datore di lavoro, tenderà a spostarsi verso le realtà in cui le proprie competenze hanno la maggiore possibilità di essere valorizzate, e ciò vale tanto per le persone con esperienza quanto per le nuove generazioni. Si dice che tre indizi fanno una prova. Per quelli sul capitale umano dei Champions la prova è visibile nei loro bilanci. Altro che «invisible assets».
*Direttore scientifico e presidente Cuoa Business School