Se credete nel potere taumaturgico dei libri e non avete paura di riconoscervi in una storia, correte il rischio di commuovervi, di riaprire ferite faticosamente sanate e trovare sorrisi fra le lacrime, leggete Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin. La sua protagonista, Violette Toussaint, è la guardiana del cimitero di una cittadina della Borgogna. Ci è arrivata dopo avere per anni lavorato come addetta a un passaggio a livello, l’esistenza scandita prima dal passare dei treni poi dalla sofferenza degli altri. Discreta e gentile si prende cura delle tombe, delle persone che le vanno a visitare, di gatti e cani dei morti che hanno seguito fino lì i loro padroni e non se ne sono più andati. Accoglie vedove e amanti, consola parenti e amici con una chiacchiera o il silenzio, una tazza di tè, un bicchiere di buon vino. Mai una lacrima davanti a loro o durante una sepoltura. Semmai ascoltando La chanson des vieux amants, la musica accompagna le sue giornate. Chiuso il cancello «il tempo è solo suo», toglie il guardaroba «inverno» a tinte neutre sotto cui nasconde quello «estate» a colori vivaci e rilegge come un mantra Le regole della casa del sidro. Le tende sono il confine tra la sua vita e la tristezza dietro le finestre.
È sola dopo che il marito è partito per un viaggio anni prima e non è più tornato. Nel suo orizzonte pochi uomini, i necrofori, gli addetti alle pompe funebri, il parroco. Fino a quando si presenta un poliziotto di Marsiglia : la madre ha lasciato scritto nelle ultime volontà che le sue ceneri riposino sulla tomba di un avvocato a lui sconosciuto, sepolto nel cimitero. Aprire il registro su cui Violette annota i particolari di ogni funerale vuole dire spalancare la verità anche sulla sua di vita. Abbandonata alla nascita, cresciuta in famiglie affidatarie in cui ha cercato solo di non disturbare per poter restare, il matrimonio da adolescente con un uomo bellissimo ed egoista che le ha dato quel cognome che ha segnato il suo destino: Toussaint, «ognissanti», in Francia il giorno dei defunti. E l’unica gioia vera, la figlia Léonine a cui però è successo qualcosa, poi si sa: «più grande la disgrazia, più eroico è il vivere».
Lei lo ha trovato il suo modo eroico. In quel fazzoletto di terra guarda famiglie che si stringono nel lutto e altre che nemmeno il dolore riesce a riunire, percepisce sollievo e risentimenti, raccoglie foglie secche e ricordi. Ha imparato ad accudire le piante per coltivare l’esistenza, per «permettere alla vita di avere il sopravvento». Una storia che con toni lievi preme sul cuore, Violette è una protagonista che fa bene e non somiglia a nessun’altra.
* La Stampa, 13 Luglio 2019