Sembrava un capitolo chiuso. Definitivamente. Da quando, cioè, il Parlamento nella scorsa legislatura ha votato per l’abolizione dello stanziamento di soldi pubblici ai partiti. Ma ora, dopo il cosiddetto «caso Parnasi», si torna a parlare degli strumenti e dei modi con cui si sovvenziona la politica in Italia.
È un tema delicato, quello del finanziamento dei partiti. Le entrate delle forze politiche, da quando è stata varata la riforma, si sono ridotte del 61 per cento. Anche se in realtà rimane una forma di erogazione di soldi pubblici attraverso i rimborsi elettorali ai gruppi parlamentari: 260 milioni di euro nella scorsa legislatura.
In un’intervista al Fatto quotidiano, ieri, il neosottosegretario Giancarlo Giorgetti non ha escluso la possibilità di modificare ulteriormente la legge in vigore. Ma come? L’esponente leghista lascia intendere che si potrebbe rivedere la parte della normativa attuale che riguarda i finanziamenti dei privati ai partiti.
L’idea che si possa rimettere mano a quella legge provoca però qualche sospetto nel Partito democratico. Il dubbio è che si vogliano surrettiziamente reintrodurre degli strumenti di sovvenzionamento pubblico. Lorenzo Guerini, sull’argomento è categorico: «Noi del Pd abbiamo abolito il finanziamento pubblico dei partiti in ossequio alla volontà degli italiani che si era espressa in un referendum. E non penso che gli italiani abbiano cambiato idea».
È un sospetto quello che agita il Partito democratico che potrebbe sembrare privo di fondamento a sentire le parole di Luigi Di Maio che su questo tema è sempre stato molto esplicito. Secondo il leader del M5S, infatti, andrebbe abolito anche il 2 per mille che, nella dichiarazione dei redditi, ogni cittadino può decidere di destinare a un partito. Stando al vicepremier le forze politiche dovrebbero sostenersi solo con «microdonazioni volontarie dei cittadini».
Non solo, per Di Maio occorrerebbe introdurre anche «la massima trasparenza» per quel che riguarda le donazioni di privati ai partiti e alle fondazioni. Un aspetto, quest’ultimo, molto controverso. È proprio a una onlus considerata vicino alla Lega che Parnasi diede 250 mila euro. Una donazione perfettamente legittima che però ha destato degli interrogativi nella magistratura, che sta conducendo l’ultima inchiesta romana.
Ed è proprio su questo punto che Lega e 5 Stelle non sembrano andare d’accordo. Perché mentre Di Maio è pronto ad affrontare il problema dell’opacità dei finanziamenti destinati alle fondazioni e che poi da queste vanno ai partiti o ai singoli politici, Giorgetti al contrario sembra frenare e spiega: «Se un’associazione ha una personalità giuridica diversa non può essere ricondotta tout court al partito stesso». A sorpresa, invece il Pd rilancia e va oltre Di Maio: «Trasparenza massima vuol dire che dobbiamo fare anche una legge sulle lobby», dice il tesoriere Francesco Bonifazi.
Comunque il sospetto dei dem che si voglia aprire questa discussione per approdare in realtà ad altro non parrebbe del tutto campato in aria. Infatti hanno ripreso fiato e voce quanti erano (e sono) contrari all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Daniela Santanché, esponente di Fratelli d’Italia, non fa nessun mistero della sua opinione: quella riforma secondo lei «è sbagliata». E una delle più ascoltate consulenti di Bersani, Chiara Geloni, ieri ha pubblicato in rete un post molto esplicito a riguardo: «È stata una cazzata criminogena aver voluto abolite il finanziamento pubblico».
Apre invece un altro fronte il portavoce di Forza Italia Giorgio Mulè: «FI votò a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e non ha cambiato idea. Dopodiché bisogna anche consentire ai privati di erogare dei soldi senza prevedere i limiti attuali, frutto della furia antiberlusconiana».