L’occupazione stabile, a febbraio, ha segnato il primo vero calo: i dipendenti permanenti, vale a dire gli assunti a tempo indeterminato, si sono ridotti, sul mese, di 33mila unità (sull’anno la contrazione è stata di 65mila posizioni). In diminuzione, nel congiunturale, sono risultati anche i rapporti temporanei (-11mila unità), complice – oltre alla generalizzata frenata dell’economia – la stretta su causali e costi introdotta dal decreto dignità, e a pieno regime dallo scorso novembre. In controtendenza il lavoro autonomo, che, sempre a febbraio, ha registrato un balzo in avanti: +30mila indipendenti sul mese, +71mila sull’anno; qui, probabilmente, si sconta, pure, l’introduzione, a gennaio, del regime fiscale di favore (la flat tax al 15% per chi ha ricavi o compensi fino a 65mila euro) che sta interessando, soprattutto, i nuovi “ingressi” nel mercato del lavoro (o le ri-assunzioni di chi lo ha perduto).
Il segno meno sugli impieghi (fissi e temporanei) ha riguardato essenzialmente la fascia d’età 35-49 anni che, demografia a parte, si mostra in forte affanno: il numero di occupati si è ridotto di 74mila unità su gennaio, addirittura -216mila nel confronto tendenziale, a testimonianza di crisi aziendali ancora diffuse ed espulsioni, che al momento sono tamponate da proroghe temporanee della Cigs e dal boom di domande di Naspi (e non da politiche attive, ferme al palo).
La fotografia scattata ieri dall’Istat conferma come il rallentamento della crescita economica e il diffuso clima di incertezza tra gli operatori stiano, nei fatti, iniziando a mostrare i primi effetti (negativi) sul mercato del lavoro. A febbraio il tasso di disoccupazione è risalito al 10,7% (in Europa peggio di noi solo Spagna e Grecia); e, sul mese, ci sono 34mila persone in più in cerca di un lavoro. Nell’Area euro, a febbraio, il tasso di disoccupazione è risultato invece stabile al 7,8 per cento. Sull’anno, l’occupazione è rimasta in terreno positivo (+113mila unità), seppur trainata dai dipendenti a termine (+107mila) e dagli autonomi. Il numero di inattivi, tra cui gli scoraggiati, è in discesa sia sul mese, sia sull’anno (sono interessate un po’ più le donne, rispetto agli uomini, ma al momento la maggiore riattivazione non sfocia in nuova occupazione di qualità).
Tra i giovani, poi, il quadro resta preoccupante: la percentuale di under25 che non hanno un impiego si è attestata al 32,8%, in lieve diminuzione rispetto a gennaio. Ma, anche qui, restiamo in fondo alle classifiche internazionali: ormai, evidenzia Eurostat, siamo penultimi (dietro di noi c’è solo la Grecia, con il 39,5%, dato di dicembre 2018). La Spagna, con il 32,4% di disoccupazione giovanile, ci ha scavalcato lo scorso mese. Lontanissimi dall’Italia i primi della classe, cioè la Germania che, grazie al sistema di formazione duale, ha mantenuto una percentuale di under25 disoccupati stabile al 5,6 per cento.
Il governo ha difeso quota 100 e reddito di cittadinanza i cui effetti, sottolineano, «si faranno vedere nei prossimi mesi». L’opposizione è andata invece all’attacco: il Pd ha parlato di «catastrofe»; e l’economista di Fi, Renato Brunetta, di «fallimento del decreto dignità». L’ esperto Marco Leonardi (Statale di Milano) condivide: «È da maggio che l’occupazione è in calo. Certo, serve la crescita. Ma anche misure più incisive per spingere le imprese ad assumere stabilmente».