Il lavoro autonomo perde peso nell’occupazione italiana. E ciò avviene quando invece il baricentro della politica si sposta in direzione delle forze che fanno riferimento agli interessi minuti e alle fasce deboli del mercato del lavoro. A fornire i numeri sul calo del lavoro indipendente è stata ieri la Confesercenti che ha elaborato dati di fonte Istat. Ebbene in 10 anni dal 2007 al ’17 gli autonomi sono calati dell’11,1% ovvero 639 mila unità, di cui 100 mila solo nell’ultimo anno. È scesa l’occupazione dei lavoratori in proprio, dei collaboratori e dei coadiuvanti familiari mentre sono aumentati i liberi professionisti (+274 mila). Il trend merita di essere segnalato perché in netta controtendenza rispetto al lavoro dipendente, anche se «gonfiato» dai contratti a termine.
Sottolineato che gli autonomi espulsi dal mercato del lavoro non hanno ammortizzatori sociali e interventi di sostegno del reddito, si può dedurre dai dati che piccolo commercio e artigianato abbiano pagato a caro prezzo gli effetti della crisi. L’aumento dei professionisti non deve trarre in inganno perché si tratta per lo più di freelance che sopravvivono con redditi bassissimi. In prospettiva l’economia dei flussi dovrebbe favorire una risalita del lavoro autonomo per effetto della scomposizione delle organizzazioni centralizzate, ma i numeri non lo mostreranno presto perché la selezione darwiniana nel commercio e nell’artigianato non è finita. Per chi volesse tutelare politicamente il lavoro indipendente il compito non si presenta facile: in questo caso non ci sono provvedimenti di spesa salvifici ma occorre aiutare il mercato a crescere in quantità e qualità. In estrema sintesi «riformare» il terziario low cost .