Esordisce ricordando i suoi trascorsi professionali alla Ferrari, chiarendo ai giovani universitari che ha davanti un concetto appreso il primo giorno che arrivò nel team del Cavallino Rampante, ovvero: «Se hai un’idea, ma non hai l’implementazione, la tua idea è come se non esistesse. Se mai vi si presentasse qualcuno che dice così, ragazzi, mandatelo a spazzolare». E in tanti hanno preso appunti. È un Carlo Calenda animoso quello chiamato ad intervenire al Festival Città Impresa sul tema delle “Fabbriche dell’auto tra automazione e big data” al tavolo con il presidente di Federmeccanica Alberto dal Poz e il sempre empatico Andrea Pontremoli, amministratore delegato di Dallara. Già numero uno del Mise ed europarlamentare, Calenda più che ad un convegno pare invitato a nozze, chiamato sì a esprimersi sulle incertezze del mercato delle 4 ruote, ma tempestivo nell’introdurre altri temi di stringente attualità. Dalla plastic tax («Sostituire le bottiglie di plastica con il vetro, un prodotto energy-intensive doppio rispetto alla plastica, significherebbe un disastro di dimensioni planetarie. La plastica semplicemente non deve finire in mare»), all’incandescente vicenda dell’Ilva di Taranto («Questa questione rischia di farci perdere la prima acciaieria d’Europa e un investitore da oltre 4 miliardi. Una vicenda politicamente gestita da dilettanti»), tuona aggiungendo come «lo scudo penale sia stato messo, tolto e rimesso più volte» mentre in prima fila lo ascolta il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Peccato che, malgrado quanti affermano che l’acciaio non si farà più, le auto siano principalmente fabbricate con questo materiale. Quanto alla tecnologia vincente del futuro, grande è la confusione sotto il cielo.
«Non sappiamo dire quale sarà — ha evidenziato Calenda — la politica può definire limiti e obiettivi, ma non le spetta indicare la tecnologia da utilizzare. Ad esempio, il diesel è destinato a finire contro ogni evidenza scientifica, senza considerare che con la sua fine, si perderanno un sacco di posti di lavoro. E così nessuno più investe nel diesel. Sarà l’elettrico? È stato stabilito, a livello europeo, che ogni grande distributore abbia le colonnine, ma i tempi di ricarica restano troppo lunghi. Occorre ragionare sulla transizione».
Il caso, richiamato da Dal Poz, della tedesca Mahle, eccellenza del mercato nella produzione di pistoni per i motori diesel, che chiude due siti in Piemonte lasciando a casa 450 operai, è emblematico. «Il diesel è diventato il nemico da combattere». Che poi anche l’elettrico ha le sue belle magagne ambientali. «Per alimentare le auto della Formula E serve un motor generator diesel grande come un appartamento — ha rivelato Pontremoli — la politica deve stabilire le direzioni da prendere e le regole del gioco. Spetta poi all’industria tirar fuori le soluzioni».
*Corriere di Bergamo, 9 novembre 2019