L’altra sera, al termine dell’ennesima riunione con la sua squadra, Salvini aveva commentato: «Questo è il primo caso di governo dove i ministri vogliono andarsene a casa». Non che non lo sapesse. Semmai, davanti a quell’unanime desiderio di correre al voto anticipato, c’è da capire il motivo della sua irrisolutezza, su cui iniziano a interrogarsi (anche) dentro la Lega: sono timori politici? Fantasmi giudiziari? Questioni internazionali? O è solo tatticismo? Perché il leader del Carroccio aveva chiesto ai suoi ospiti di essere «sinceri». E loro, bicchierino di mirto in mano, lo sono stati.
Ogni ministro ha presentato il proprio cahier de doléances. La Bongiorno vive con disagio il controllo militare del suo dicastero da parte del presidente del Consiglio. La Stefani è bloccata con la riforma dell’Autonomia regionale che doveva essere presentata entro dicembre, poi entro febbraio, poi entro la primavera, che nel frattempo sta finendo. Centinaio aspetta di incontrare Conte per avvisarlo che la sua idea di togliergli il Turismo, istituendo una cabina di regia a Palazzo Chigi insieme al titolare dei Beni culturali, «se la può scordare». Fontana — dotato di un ampio storytelling sui grillini — si è chiuso nel mutismo dopo aver detto che «con loro non ci parlo più».
Ché poi queste cose erano note a Salvini. E infatti sono servite da carburante per una discussione durante la quale tutti hanno argomentato la necessità di uscire dal guado in cui il partito si trova. Perché è vero che la Lega è il dominus della situazione, frutto del risultato alle Europee e della finestra elettorale aperta sul voto di settembre, che rappresenta una minaccia per alleati e avversari dentro e fuori il governo. È come se Salvini «oggi» disponesse di un pacchetto di azioni quotate al 34,3%, e valutate in salita.
Ma la politica, al pari dei mercati, vive di fasi. E «domani», soprattutto con la difficoltà a gestire i conti pubblici, il valore delle azioni potrebbe calare. «Tra qualche mese magari gli elettori inizierebbero a guardare altrove», ha detto Centinaio. A quel punto il disegno della Lega sarebbe minacciato. La differenza tra l’oggi e il domani si è palesata nelle parole di Giorgetti: è stata la descrizione di come il giorno possa di colpo tramutarsi in notte. Oggi, davanti al rischio delle urne a settembre, i Cinquestelle «mostrano un atteggiamento remissivo che verrà mantenuto fino a metà luglio». Ma domani, quando si sarà chiusa la finestra elettorale, «torneranno quelli di prima». Oggi, secondo il sottosegretario alla Presidenza, non ci sarebbe il rischio di un altro governo: il Colle «non si presterebbe» a operazioni di piccolo cabotaggio, anche perché «il Pd ci ha detto che in caso di crisi preferirebbe le elezioni».
Oggi Conte «non è un problema». Domani invece, cioè in autunno, in sessione di bilancio, potrebbe trasformarsi «in una testa di ponte per soluzioni alternative». Se la manovra si rivelasse indigesta per la Lega, allora sì che scatterebbe la trappola. E in nome dell’emergenza, in Parlamento si troverebbero i numeri per una maggioranza, «insieme ai Cinquestelle che non avrebbero nulla da perdere»: «E dimentichiamoci che quel governo durerebbe solo il tempo della Finanziaria».
Ecco spiegate le differenze tra il giorno e la notte, preludio dell’appello che Giorgetti ha rivolto al suo segretario: «Perciò Matteo, prendi un appuntamento con il presidente della Repubblica e vai a spiegargli come stanno per noi le cose». Il punto è se anche per Salvini le cose stanno così, e perché — nonostante sia consapevole che la congiunzione astrale favorevole non può durare a lungo — faccia formalmente mostra di voler andare avanti nell’esperienza di governo con i grillini. Non vuole davvero fare la crisi? Non può fare la crisi? Teme di aprire la crisi? O attende ancora prima di aprire la crisi?
Il resto passa in secondo piano. Il rimpasto è un gioco di società con cui nel Palazzo si consumano piccole vendette. E mentre si rincorrono le voci, come quella di Giorgetti in Europa e della Bongiorno al suo posto da sottosegretario alla presidenza, l’unico tema è se il governo durerà. Le riunioni di Salvini con i suoi si stanno trasformando in una sit-com: mentre tutti gli consigliano di mollare, lui prende tempo. L’altra sera si è riproposto il canovaccio. Se non fosse che, mentre i ministri discutevano dei possibili passaggi per arrivare alla crisi, il «Capitano» li ha interrotti: «Fatemi un elenco delle cose sulle quali state lavorando e che si possono lanciare a livello mediatico». La frase è stata interpretata come l’agognato viatico, tanto che ieri Giorgetti non ha smentito l’ipotesi delle urne a settembre: «Bisogna stare sempre pronti». Tocca a Salvini l’ultima parola, «ed è da questo passaggio — commenta un autorevole esponente della Lega — che si misurerà la sua statura». Magari tornerà dal viaggio negli Stati Uniti con la risposta.