Il sottosegretario Vincenzo Santangelo, del Movimento 5 Stelle, è già in piedi, sta aggiustando il microfono. Deve dare il parere del governo per le mozioni sulla Tav. E tra poco lo farà, rimettendosi al voto dell’Aula, come da antica tradizione quando si annuncia brutto tempo.
I «due governi»
Prima di lui, però, ha chiesto la parola il viceministro della Lega Massimo Garavaglia, seduto proprio lì a fianco. Santangelo torna a sedersi, si volta verso la presidenza: «Ma che cosa fai?» dice, facendo pure così con la mano. Garavaglia sta già parlando e invita a «votare a favore di tutte le mozioni che dicono sì alla Tav». Poi si siede di nuovo con un sorrisetto che vale più di un’intervista. Sono passati cinque minuti dalle undici del mattino quando la teoria dei due governi si materializza qui nell’Aula del Senato.
I numeri
Un’ora dopo arrivano anche i numeri. La mozione del M5S, che dice no alla Tav e ridà la parola alle Camere, viene bocciata — 110 sì e 181 no —: votano a favore solo i pentastellati con l’aggiunta del Pd Tommaso Cerno. Le altre mozioni, favorevoli invece all’opera, vengono tutte approvate con 180 voti o poco più: sono quelli di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito democratico. Il documento del Pd viene appoggiato dalla Lega solo dopo che sono state tagliate le critiche al governo, evitando il voto per parti separate che altrimenti avrebbe chiesto il Carroccio. Una scelta che il Movimento 5 Stelle attacca come «inciucio». Ma sotto i riflettori resta la spaccatura nel governo.
Il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo dice che «chi vota no alla Tav si prenderà la responsabilità politica delle scelte che saranno prese nei prossimi giorni e nei prossimi mesi». Il suo collega del M5S Stefano Patuanelli gli risponde a tono: «Chiedo agli amici della Lega, e sottolineo amici, vogliamo regalare i soldi a Macron? Lasciamo che sia il Pd a regalare parlamentari a Macron». Un crescendo di tensioni che in serata porterà Matteo Salvini a incontrare Giuseppe Conte per chiedere la testa di Danilo Toninelli, Elisabetta Trenta e Sergio Costa, criticando anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Per poi chiudere con il comizio a Sabaudia in cui dirà che «qualcosa si è rotto».
In Senato
A Palazzo Madama, intanto, arrivano le parole di Silvio Berlusconi, «la soluzione è tornare al voto». E del segretario Pd Nicola Zingaretti che invoca l’apertura formale della crisi: «Conte si rechi al Quirinale dal presidente Mattarella». In Transatlantico, il suo predecessore Matteo Renzi già ragiona di legge elettorale. E dice pure che il «consenso di Salvini sta scendendo mentre io fino al referendum sono rimasto stabile». Sarà. Proprio da qui tra poco passerà il ministro Danilo Toninelli, che oggi fatica a ostentare tranquillità: «Io vado avanti a lavorare. Non mi frega niente delle poltrone». Poi tutti via verso il guardaroba al piano terra, pieno di trolley. Auguri di buone vacanze, baci e abbracci, prossima seduta il 10 settembre.
In Aula resta solo il tempo per qualche intervento a titolo personale. Dai banchi del M5S prende la parola Fabrizio Trentacoste che, come se nulla fosse, si appella proprio al ministro leghista Gian Marco Centinaio per «dare maggiori tutele al settore della frutta secca». La prova provata che la maggioranza è arrivata davvero alla frutta. Persino secca.