Colpa di quelle maledette azioni della Popolare Vicenza e Veneto Banca. Ma non solo. Pasta Zara, grande esportatore di pasta italiana e secondo produttore dopo Barilla, sta cercando di risolvere una grave sofferenza finanziaria.
Con le banche sono in corso negoziati (advisor Deloitte) per un risanamento. Oggi di fatto i rapporti bancari sono congelati (standstill) almeno — secondo alcune fonti — fino al 31 marzo. Per i contributi previdenziali non versati nel 2017 sarà chiesta una rateizzazione. Situazione critica ma risolvibile perché l’azienda di Treviso è solida e competitiva sotto il profilo industriale, produce negli stabilimenti italiani, fattura 240 milioni (dato 2016 contro 285 del 2015) per l’80% all’estero, soprattutto nell’area Ue, tanto che il 13% della pasta italiana presente nel mondo è prodotta da pasta Zara. I margini e i flussi che genera la gestione industriale sono però insufficienti a far fronte a un debito ben superiore ai 200 milioni. La famiglia Bragagnolo controlla il gruppo fin dal 1898. La loro holding, Ffauf sa, è in Lussemburgo. Ma un 25% del capitale è in mano pubblica, diviso tra la nazionale Simest (Sace-Cdp) e la regionale Friulia. I Bragagnolo si erano impegnati a ricomprare le quote entro il 2017 riconoscendo, tra l’altro, interessi tra il 6 e l’8%. Tutto bloccato, per ora.
La situazione adesso qual è? Le ultime notizie arrivano dal consiglio di amministrazione che il 26 febbraio ha approvato una situazione patrimoniale al 20 dicembre 2017 da cui emerge una perdita di 25,7 milioni che ha ridotto a 77,3 milioni il patrimonio netto. Circa un terzo della perdita è dovuto alla svalutazione delle azioni Popolare di Vicenza e Veneto Banca che pasta Zara aveva in portafoglio e che, sostengono loro nei documenti societari, «erano stati costretti ad acquistare in corrispondenza di alcuni finanziamenti di maggior importo». Per questo erano state avviate azioni legali.
Dunque il “buco” delle venete ha reso ancor più difficile una posizione finanziaria già squilibrata. La cassaforte lussemburghese dei Bragagnolo, quella che incassa i dividendi e i proventi del marchio di cui ha la proprietà, ha rinunciato a una parte dei suoi crediti. Restano però 22 milioni dati in prestito oneroso (euribor 3 mesi +2,75%) a pasta Zara. A questi intrecci guarda chi vorrebbe che la famiglia si impegnasse fino in fondo nel rafforzamento patrimoniale del gruppo.
In attesa di definire una moratoria con le banche, il pastificio trevigiano, che prende il nome dalla città dove negli anni 30 fu aperto un nuovo stabilimento, si è visto «mettere in mora» dagli obbligazionisti di un minibond quinquennale (5 milioni al tasso del 6,5%) emesso nel 2015. Uno dei sottoscrittori, la Finint sgr per conto di un suo fondo che ha l’8% dell’emissione, ha ottenuto la convocazione di un’assemblea perché pasta Zara non ha rispettato i parametri patrimoniali previsti e dunque poteva essere chiesto il rimborso del prestito.
La società a sua volta ha chiesto anche agli obbligazionisti il congelamento delle loro pretese ottenendo in cambio un’astensione che sembra una mossa da partita a scacchi. Ma lo stallo non è la medicina migliore per un’azienda con 500 dipendenti, che produce solo in Italia ed esporta in tutto il mondo la pasta, simbolo principe del made in Italy.