Per il momento, la Commissione europea non si prepara a chiedere all’Italia una manovra correttiva durante il 2019. Non ha in programma di spingere in questo senso, anche se insisterà per l’esecuzione di quanto pattuito nell’accordo di dicembre con il governo e deliberato nella legge di bilancio in vigore: il blocco automatico di spese per due miliardi (0,11% del prodotto lordo) a partire da luglio se, come è quasi certo, a metà anno diventerà chiaro che la rotta del deficit punta oltre il 2% del Pil.
Più che di tregua, per Bruxelles si tratta però di attesa e preparazione per quella che molti vedono come la fase decisiva del confronto con l’Italia sulla finanza pubblica: la sessione di bilancio di ottobre prossimo, quando le opzioni per prendere ancora tempo con un accordo di facciata saranno praticamente finite. Nel frattempo anche nel negoziato fra capitali sul governo dell’euro l’Italia sembra isolata e sotto pressione. Da poche settimane si è costituito un gruppo di lavoro fra sherpa finanziari in vista di un accordo a giugno su alcuni aspetti nevralgici: l’embrione di un bilancio della zona euro e alcune regole dell’unione bancario. Sul primo aspetto un accordo franco-tedesco emerso ieri condiziona l’accesso dei singoli Paesi al bilancio comune dell’euro per investimenti, peraltro molto piccolo, al rispetto delle raccomandazioni annuali di Bruxelles. Sull’unione bancaria invece la cosiddetta Lega anseatica, la cordata dei governi del Nord, insiste nel proporre limiti o penalizzazioni al possesso di titoli di Stato nei bilanci delle banche.
Il 2019 è dunque destinato a restare un anno di tensioni fra Roma e Bruxelles, anche senza la richiesta di una stretta di bilancio. Per adesso le ragioni per evitarla, viste da Bruxelles, sembrano preponderanti sia in termini finanziari che politici. Questa Commissione Ue è nel suo ultimo anno e nei prossimi mesi inizierà a registrare dimissioni a catena. Le più importanti saranno di Valdis Dombrovskis, vicepresidente con delega all’euro: l’ex premier lettone si candiderà alle elezioni europee di maggio e dopo il voto, se eletto, dovrebbe dimettersi dalla Commissione in luglio. Già da prima però il suo status di candidato con il partito popolare europeo può complicare qualunque iniziativa sull’Italia: qualcuno potrebbe interpretarla, o strumentalizzarla, come una mossa volta a mettere in difficoltà il governo di forze sovraniste e avversarie del Ppe. Imporre all’Italia una manovra a metà anno rischia poi di diventare difficile per un collegio Ue che sta perdendo nel 2019 quasi un terzo dei suoi componenti.
Lo scenario
L’anno prossimo servono ben più di 23 miliardi per stabilizzare deficit e debito
Anche lo stato dell’economia consiglia di non accelerare. L’Italia versa in una recessione che non dà segni di passare; la stessa zona euro non si sta riprendendo, nota Fabio Balboni di Hsbc, dopo che il settore industriale dell’intera area è entrato anch’esso in una «recessione tecnica». Una stretta ai conti adesso non farebbe che affossare l’economia italiana, con il solo risultato di far crescere ancora di più il debito in proporzione al prodotto. Sia il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici che Jean-Claude Juncker, il presidente, lo considerano un errore: proporranno una manovra solo se le tensioni di mercato obbligano l’Italia a fare qualcosa per rassicurare gli investitori. Per adesso, data la crescita a zero o negativa nell’arco del 2019, il deficit di Roma sembra diretto verso quota 2,4% o 2,5% del Pil: abbastanza da far crescere il debito su un’economia paralizzata, ma non fuori controllo almeno per quest’anno. Il Tesoro e la Ragioneria a Roma hanno tenuto dei margini nell’esecuzione di reddito di cittadinanza e quota 100. E Bruxelles ormai giudica i saldi quasi sempre tarandoli sulla fase, più solida o più fragile, dell’economia.
A ottobre però l’attesa finirà. L’impatto del balzo nella spesa corrente per ora è appena camuffato dall’impegno — teorico — a far salire l’Iva e le imposte sui carburanti di 23 tra dieci mesi e di altri 28 fra 22 mesi. In realtà però già l’anno prossimo servono ben più di 23 miliardi solo per stabilizzare il deficit e il debito, perché la recessione prodotta dalla frenata degli investimenti sta facendo saltare drammaticamente i conti del 2020. E, dati gli equilibri in Europa, la prossima Commissione avrà di sicuro una squadra e un presidente più rigidi degli attuali. Per i governi nordici della Lega anseatica e per Berlino, gli anni dei patti molto politici di Juncker con l’Italia devono finire.