Nell’anno di Quota 100 e del Reddito di cittadinanza il Pil è cresciuto di appena tre decimali (meglio dell’ultima stima ferma al +0,2%) segnando il rallentamento più marcato dai tempi della ripresina registrata tra il 2016 e il 2017. In compenso sono migliorati i saldi, con un deficit/Pil che s’è ridotto di sei decimali (da -2,2% del 2018 a -1,6%) e avanzo primario arrivato all’1,7%, il livello più elevato dal 2013. In valore assoluto l’indebitamento è stato 29,3 miliardi, in calo di circa 9,5 miliardi rispetto a quello dell’anno precedente.
Dietro questi numeri senza dubbio migliori della finanza pubblica ci sono le maggiori entrate registrate sul fronte delle imposte dirette (+3,4%) e indirette (+1,4%) e dei contributi sociali (+3,2%), dovute anche all’aumento del numero degli occupati. Ma hanno pesato pure le «altre maggiori entrate correnti» (+8,4%) dovute in particolare al dividendo girato al Tesoro dalla Banca d’Italia (5,7 miliardi, una cedola superiore di 2,3 miliardi, il 69,7%, rispetto a quella del 2017) e alla maxi-cedola arrivata dalla Cassa depositi e prestiti, pari a 1,3 miliardi di euro (fu di 1,1 miliardi del 2017). La pressione fiscale, quindi, è salita dal 41,9% del 2018 al 42,4% del 2019, il dato più alto dal 2015.
Mentre sul fronte delle uscite i saldi hanno beneficiato del calo degli interessi passivi (-6,7% dopo il -1,3% del 2018) e delle minori spese in conto capitale (+3,6% nel loro complesso per effetto della forte crescita degli investimenti fissi lordi), voce alleggerita dal venir meno degli interventi una tantum di salvataggio bancario.
La maggiore spesa vera, nel 2019, è stata per le nuove prestazioni sociali in denaro (+3,7% contro il +2,1% del ’18) gonfiate appunto dai pensionamenti agevolati e dai nuovi sussidi contro la povertà. Il saldo di parte corrente (entrate correnti meno uscite correnti) è stato pari a 27,8 miliardi (contro i 16,1 del 2018) grazie alle maggiori entrate per 23,1 miliardi che hanno più che compensato gli 11,3 miliardi di maggiori uscite correnti. Ma nonostante questi maggiori trasferimenti in moneta la spesa per consumi finali delle famiglie ha rallentato la sua crescita, aumentando in volume dello 0,4% (contro il +0,9% nel 2018). Anche il debito/Pil non è cambiato, restando al livello del 134,8% del 2018, dato tra l’altro appena aggiornato con la revisione effettuata da Bankitalia il 23 settembre scorso: il livello 134,8% risulta linearmente invariato dal 2016, a questo punto, se si eccettua il lieve miglioramento (134,1%) del 2017.
Istat nel breve commento che accompagna la statistica flash di giornata ha spiegato così il rallentamento dell’economia nazionale: dal lato della domanda, nonostante la decelerazione delle esportazioni, il calo delle importazioni ha determinato un contributo positivo della domanda estera netta. Dal lato dell’offerta di beni e servizi, la crescita del valore aggiunto è stata sostenuta nel settore delle costruzioni, modesta nei servizi, mentre l’agricoltura e le attività manifatturiere hanno subito una contrazione. Domani l’Istituto di statistica offrirà maggiori dettagli sulle componenti delle crescita 2019 e, soprattutto, ci dirà se è confermato o meno il -0,3% dell’ultimo trimestre, un gradino probabilmente accidentale (le avverse condizioni meteo di novembre e dicembre) che ha tuttavia contribuito a lasciare un’eredità statistica negativa (-0,2%) sulla crescita acquisita per il 2020. Un’eredità da soppesare al netto, naturalmente, degli effetti per ora incalcolabili dell’epidemia Covid-19 in piena fase di diffusione in diverse regioni italiane dopo l’individuazione dei primi due focolai localizzati in Lombardia e in Veneto.