Un mese dopo il commissariamento di Banca Carige, l’istituto ligure è uscito dal cono di luce dei riflettori, ma i problemi che hanno indotto la Commissione europea ad agire nei confronti del board e soprattutto della litigiosa proprietà, sono tutti sul tavolo. I 320 milioni di euro prestati a Carige dal sistema bancario italiano attraverso lo Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi devono sempre essere restituiti. Per far ciò l’aumento di capitale da 400 milioni di euro che il 22 dicembre è stato rigettato dall’assemblea dei soci per l’astensione del primo azionista Malacalza Investimenti, deve sempre essere realizzato. E successivamente va individuato un partner che si faccia carico del futuro di Carige, una banca a cui sono rimasti pochi asset e che ha speso molto per sanare i guai del passato.
Proprio la ricerca del futuro partner di Carige sta alimentando l’interesse di molti consulenti. Un dossier in particolare evidenzia come tra gli asset più appetibili della banca genovese vi siano i crediti fiscali legati alle perdite maturate negli anni scorsi. Un boccone goloso, calcolato attorno agli 1,8-2,1 miliardi di euro di vantaggi fiscali, che potrebbero fare molta gola. La dimensione del potenziale vantaggio fiscale determina anche la stazza del possibile acquirente. Le tre banche di media dimensione del sistema italiano, Ubi, Banco Bpm e Bper, non hanno al momento in casa le munizioni per un simile colpo. Dovrebbero procedere a impegnativi aumenti di capitale e il livello di utili che riescono a raggiungere attualmente non garantirebbe la capienza necessaria per beneficiare del prospettico vantaggio fiscale.
Restano così in due, Intesa Sanpaolo e Unicredit, a meno che non si voglia considerare acquirenti esteri. Intesa Sanpaolo, sollecitata sull’argomento e con all’attivo il salvataggio delle due ex popolari venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, fa però sapere che l’operazione Carige «non interessa e che pertanto non la faremo». Una posizione simile a quella di Unicredit, anche se la banca guidata da Jean Pierre Mustier viene da più parti indicata come probabile acquirente e ha già messo in Carige 60 milioni di euro di quei 320 complessivamente prestati dal sistema. Ai piani alti del grattacielo di piazza Gae Aulenti scelgono di «non commentare rumors e speculazioni di mercato», evidenziando come il piano industriale in essere «è basato sull’assunzione di una crescita organica». La posizione è stata ribadita anche venerdì scorso dall’amministratore delegato del gruppo, Jean Pierre Mustier, che in un’intervista al quotidiano francese Les Echos, alla domanda su un possibile accordo, più volte segnalato come vicino con i francesi di Société Générale, ha risposto che «nessuna crescita per linee esterne è prevedibile nel medio termine. Il nostro piano strategico, Transform 2019, è basato su ipotesi di una crescita organica».
Quello che Mustier non dice, nell’intervista citata, è che se Unicredit non è interessata a un possibile accordo con Société Générale, che svilupperebbe un grande gruppo bancario pan-europeo, con una presenza di mercato rilevante in Italia, Francia e Germania, non si vede perché dovrebbe guardare alla piccola Carige. Il vantaggio fiscale è davvero consistente, ma c’è chi sottolinea che i mercati sono oggi tendenzialmente inclini ad allontanarsi finanziariamente da tutto ciò che è italiano e quindi un ulteriore appesantimento delle posizioni sulla Penisola non farebbe bene a un titolo che in Borsa non riesce a tenere quota dieci euro, che equivale a una capitalizzazione di appena 22 miliardi.
Resta, ancora una volta, il lato francese. Crédit Agricole ha investito molto negli ultimi anni e potrebbe essere indotto a farlo ancora, forse se si ripetessero le condizioni concesse a Intesa nel deal con le due ex popolari venete. Oppure Bnl-Bnp Paribas. Il gruppo parigino, dopo l’acquisizione della Banca nazionale del Lavoro, si è fermato e questa potrebbe essere una occasione per crescere. Ma al tempo dell’italica recessione l’investimento nella Penisola non accende entusiasmi. Neppure con un vantaggio fiscale tanto consistente.