Dici Italia, pensi pelle. Nessun cliché, questa volta: lo dimostrano i prodotti che escono dagli stabilimenti Bonaudo. Flessibili, resistenti e sostenibili, non a caso sono richiesti dalle più grandi case di moda del mondo. «Milanese d’adozione», la piccola azienda nata a Torino è rinata all’ombra del Duomo nel 1994: anno dell’entrata in scena di Alessandro Iliprandi, che da allora la guida in un processo di innovazione costante e a 360 gradi e, ora, tiene alta la bandiera della concia Made in Italy. Anche nell’anno del crollo del mercato del lusso.
Il settore è precipitato del 40%: Iliprandi ha limitato le perdite al 23%, assestandosi su un fatturato 2020 da 46 milioni, e se la stessa redditività è calata del 30% la solidità finanziaria è rimasta intatta.Anzi: l’attivo cash di 300 mila euro del 2019 è salito a 9,7 milioni. Risorse utili per uscire dalla crisi che, per il comparto, sembra allungarsi anche sul 2021. Come? «Con una sapiente gestione sul lungo periodo», la risolve Iliprandi.
Dettaglio non da poco, non solo per le anime green: la sostenibilità anche ambientale fa parte di questa visione, e da molto prima che diventasse di moda. Con qualche luogo comune da sfatare. Esempio. C’è chi dice: questa è un’industria basata sull’uccisione degli animali. Nessun animale viene in realtà allevato appositamente per la sua pelle. La concia è un processo di valorizzazione di un sottoprodotto dell’industria alimentare: invece di buttarlo, aziende come Bonaudo lo fanno diventare il rivestimento di un elegante divano, di una borsa griffata o dei sedili di un’auto di lusso. Morale: «Finché si continuerà a mangiare carne, la materia prima non mancherà». È un continuo «upcycling», d’altra parte, considerato che gli scarti di lavorazione della concia diventano a loro volta fertilizzanti per l’agricoltura.
La sostenibilità può quindi essere una caratteristica dell’industria conciaria? Per Iliprandi ne è addirittura l’essenza: «Quale greenwashing, noi parliamo “verde” da sempre. E non può essere una moda: è un’identità», oltre che un ormai indiscusso «fattore immateriale» del successo. «Siamo industriali dall’animo artigianale. Le mode e i consumi cambiano, ma noi vogliamo continuare a produrre eccellenza e qualità, garantendo allo stesso tempo standard ecologici e di innovazione sempre più elevati. Ma è fondamentale non sentirsi mai arrivati e continuare amettersi in discussione. Per questo abbiamo bisogno della visione dei giovani». E infatti: in Bonaudo, l’età media è sotto i 35 anni.