Narrano gli Atti degli Apostoli che Paolo di Tarso fu folgorato sulla via di Damasco. A Vincenzo Boccia è bastata quella di Rho-Pero. Ieri la Confindustria aveva convocato il suo consiglio generale presso il Salone del Mobile, un modo per tributare un omaggio alle straordinarie virtù dell’industria del design. Il programma, allestito in fretta, prevedeva «un passaggio» — così era stato definito — del vicepremier Luigi Di Maio che avrebbe tenuto un breve intervento. Nessuno poteva prevedere però che da un rituale così essenziale si originasse addirittura una conversione o forse due, contando anche quella del giovane ministro alle ragioni d’impresa. Il presidente della Confindustria — lo stesso che in un paio d’occasioni aveva minacciato di portare i suoi associati in piazza — deve essere rimasto impressionato dalle parole di Di Maio al punto da dichiarare davanti ai taccuini dei cronisti «sembrava uno di noi». Per carità, il mestiere della rappresentanza d’impresa al tempo del populismo è quanto mai ingrato, si gioca sempre in salita. E non è affatto vero che più litiga con il governo più un presidente dimostra la sua leadership. Ma detto questo, l’incoerenza di Boccia colpisce. Non si riesce infatti a capire la motivazione profonda della sua nuova scelta di fede. Di Maio è l’avversario della Tav richiesta a gran voce dalle manifestazioni degli industriali torinesi, è il ministro degli ecobonus che hanno mandato su tutte le furie gli imprenditori dell’ automotive , è il politico che a più riprese ha definito gli industriali come «i prenditori», è il promotore della legge Dignità considerata dalle imprese come un dito nell’occhio e — dettaglio ancora più corposo — è il ministro che ha praticamente azzerato le competenze tecniche del ministero dello Sviluppo economico.
Qual è allora il motivo di questa improvvisa conversione a U? La nota emessa in serata dallo stesso Boccia per cercare di stemperare il giudizio sul vicepremier si limita a lodarne «la sensibilità», di più (e di concreto) non ha potuto dire. Perché dei due provvedimenti in gestazione e di cui Di Maio ha parlato ieri — il decreto Crescita e lo Sbloccacantieri — non si conoscono ancora né il testo definitivo né le coperture e in merito al secondo pende da tempo un giudizio negativo dell’Ance. Ne sapremo di più nei prossimi giorni, ma intanto registriamo una novità nel gioco degli sguardi tra corpi intermedi e governo: una Confindustria folgorata. Il paradosso sarebbe che se ne avesse a male Matteo Salvini, a lungo corteggiato e poi rimosso.