È quando Silvio Berlusconi pronuncia quelle due parole, «partito unico», che scende il gelo sul “parlamentino” di Forza Italia. Deputati e senatori riuniti al piano terra di Palazzo Grazioli si guardano, si scrivono su whatsapp, capiscono che è giunto il momento che temevano, quello della resa finale a Matteo Salvini. Fusione o federazione poco importa. L’anziano leader continua a parlare, i parlamentari vedono invece scorrere sul fondo della sala i titoli di coda su 25 anni di storia. E, soprattutto, sulle loro carriere politiche.
«Ho visto di nuovo Salvini in questi giorni», è l’esordio del Cavaliere, che convoca nel pomeriggio l’ufficio di presidenza di un partito ridotto ormai all’8,78 per cento delle Europee. «L’ho trovato riflessivo, razionale, disponibile. Abbiamo fatto un calcolo: se correremo insieme, al Sud conquisteremo quasi cento collegi uninominali». Tra Camera e Senato, è inteso. «Possiamo dar vita a un partito unico o a una federazione. Lui è interessato alla federazione, il discorso è molto avviato, so che Matteo ne ha parlato con i suoi e l’approccio è positivo». Il fondatore di Forza Italia si spinge oltre. «Se dovesse andare in porto l’operazione, avrei pensato anche a due possibili nomi: Centrodestra unito, in caso di partito unico, oppure Centrodestra italiano, per la federazione». Che poi altro non sarebbe che la riedizione del vecchio Pdl. Ma il discorso non emoziona affatto l’uditorio. I più perplessi sono gli ex capigruppo forzisti, Paolo Romani e Renato Brunetta. Saranno gli unici ad avere il coraggio di dire quel che tutti gli altri nel “parlamentino” stanno pensando. «Perdoni presidente, ma così ci faremmo annettere dai sovranisti, non è in linea con la nostra storia – è la sintesi dei loro interventi Semmai, bisognerebbe avviare una trattativa con Salvini..». Il neo deputato europeo Berlusconi appare irremovibile. «Ho fatto fare tre sondaggi e il nome Centrodestra italiano farebbe aumentare del 25 per cento i voti». Poi intuisce di averla sparata troppo grossa: «Se anche fossero la metà, comunque vinceremmo a mani basse le prossime elezioni».
Considera il patto quasi un affare chiuso. E per la vecchia guardia forzista che lo sta ascoltando è un cerchio che si chiude. Del resto, è lo stesso patron che ha già venduto il Milan ai cinesi e ha liquidato Panorama , che ha fatto trasferire la settimana scorsa la sede legale di Mediaset in Olanda. I più pessimisti tra i forzisti ricordano anche la chiusura dal primo giugno della sede romana del Giornale e le voci perfino di una vendita del quotidiano di famiglia. La sensazione diffusa insomma è che il leader, accomodatosi ora sullo scranno di Bruxelles, stia per spegnere la luce e consegnare anche le chiavi del partito. «Non mi stupirebbe se avesse blindato le tv e concordato con Salvini 20-30 posti sicuri per i fedelissimi alle prossime Politiche e addio», ragiona un ex ministro berlusconiano ormai disilluso. E chissà che sull’accelerazione non abbiano pesato gli ultimi sondaggi che hanno precipitato Fi addirittura al 6 dopo le Europee.
Berlusconi ci prova a rassicurare i suoi. All’Ufficio di presidenza parla di un coordinamento nazionale il 25 giugno, di una squadra di dirigenti che preparerà il congresso di fine settembre. I parlamentari non appaiono rincuorati. Tanto più che nelle stesse ore il governatore “ribelle” Giovanni Toti – che ha chiamato a raccolta tutti gli insoddisfatti per il 6 luglio a Roma – annuncia che si candida alla segretaria di Fi ma invita Berlusconi a farsi da parte, a prendere atto che «è finita un’epoca». Vuole le primarie ma senza il fondatore, insomma. Toti? «Lasciamolo perdere. L’ho nominato io e chiede la democrazia, lui, nominatissimo.. », commenterà il Cavaliere davanti alle telecamere. A porte chiuse, raccontano vari dirigenti, l’ex premier è stato ben più sferzante: «Il 6 luglio vedrete che da Toti andranno in pochissimi e chi andrà sarà un coglione». Testuale. In serata, la notizia del presunto “patto” raggiunge Matteo Salvini. Quell’incontro con «Silvio» c’è stato, ad Arcore, ma è stata una visita privata, racconta ai suoi. Nei suoi confronti «resta la stima, il rispetto personale». Ma con lui «non si è mai parlato» di quell’accordo. E soprattutto, per il vicepremier leghista, Berlusconi e la sua storia «fanno parte del passato».