Sembra che non corrano le Alpi, ma oceani e decenni di separazione fra l’Italia attuale da una parte e, dall’altra, il discorso sull’Europa che stanno sviluppando Francia e Germania. In Italia quasi tutti i partiti in campagna elettorale si occupano di promesse surreali di spesa o taglio delle tasse, senza neanche pretendere di essere creduti alla lettera: a loro basta richiamare l’attenzione di un elettorato sempre più cinico. Nel frattempo fra Francia e Germania va avanti da tempo — ma ora è a un punto di svolta — il lavoro per ridisegnare le regole di bilancio e nel rapporto fra banche e debito pubblico nei Paesi dell’area euro. In Italia non se ne parla. Fra francesi e tedeschi invece dell’Italia si parla moltissimo e a lei si pensa ancora di più. Sembrano in effetti concepite avendo in testa soprattutto (non solo) con l’incognita del debito italiano, molte delle proposte che ieri hanno pubblicato in comune quattordici economisti francesi e tedeschi. E appartengono a un altro mondo rispetto alle promesse della campagna elettorale italiana. Al posto dei limiti di deficit nati a Maastricht, poi rafforzati — e complicati — con il Fiscal Compact, dovrebbe nascere una regola semplice e stringente: tetti alla spesa nominale (calcolata cioè nel suo ammontare in euro) fissati su misura per ogni Paese, con l’obiettivo di far scendere rapidamente il debito. Niente più limite del 3% nel rapporto fra deficit e prodotto lordo.
Sparisce anche l’obiettivo del pareggio di bilancio, calcolato in modi sempre più astrusi. Però nelle proposte degli economisti francesi e tedeschi il costo della violazione delle regole diventa immediato e automatico: qualunque spesa pubblica oltre le soglie indicate andrebbe finanziata emettendo titoli di Stato «subordinati». Oggi questo tipo di bond esiste solo per banche e imprese: sono i primi titoli a trovarsi esposti a default in caso di crisi, e sarebbero soggetti a un rinvio dei rimborsi per tre anni se il Paese richiede l’intervento del fondo salvataggi Esm. In quest’ultimo caso, inoltre, lo stesso fondo salvataggi imporrebbe la ristrutturazione del debito di un Paese — una sorta di default pilotato — se giudica che la situazione finanziaria non sia comunque sostenibile. Così l’approccio complessivo già applicato alle banche si trasferisce in buona parte alla vigilanza sulla finanza pubblica dei Paesi dell’euro. In contropartita, per la prima volta in Germania si apre uno spiraglio a un fondo comune dell’area euro per finanziare e stabilizzare — dietro precise condizioni — i Paesi colpiti da choc economici.
Quanto alle banche, anche qui le concessioni arrivano a caro prezzo. In Germania per la prima volta si accetta di procedere verso un’assicurazione europea sui depositi. Ma a due condizioni, per l’Italia, draconiane: le banche dovrebbero far uscire dai propri bilanci buona parte dei titoli sovrani del proprio Paese e dovrebbero svalutare a zero anche i crediti deteriorati esistenti, anche quelli coperti da garanzie. Per le banche italiane si aprirebbe un buco immediato di capitale da decine di miliardi di euro. Nessuno dei quattordici economisti franco-tedeschi si esprime a nome del proprio governo, ma molti rivestono ruoli attuali o del passato recente di consiglieri del presidente Emmanuel Macron a Parigi o del governo a Berlino. Uno dei firmatari, Philippe Martin, con un’emblematica scelta di tempo è stato nominato ieri presidente del Consiglio di analisi economica del governo francese. Quello di quei quattordici non è dunque un accordo ufficiale fra Parigi e Berlino. È semplicemente un bel passo, attentamente studiato, in quella direzione.