L’aumento dei premi di rischio sui titoli di Stato e il calo delle quotazioni azionarie e obbligazionarie ha un costo per l’intera economia nazionale.Nelle ultime tre settimane diversi esponenti di vertice di Bankitalia lo hanno detto e ripetuto in tutte le occasioni pubbliche. Ieri il Rapporto sulla stabilità finanziaria ha messo in fila i primi numeri che quantificano questo “costo da spread” su una congiuntura che si va indebolendo di settimana in settimana.
Partiamo dalle famiglie. Il calo dei prezzi delle attività ha ridotto la loro ricchezza finanziaria di circa 85 miliardi (-2% a giugno rispetto a fine 2017) nonostante nuovi investimenti netti per 24 miliardi. E negli ultimi mesi il peggioramento dei corsi borsistici avrebbe limato i portafogli di un altro 1,5%. Nel complesso le condizioni patrimoniali dei nuclei restano solide e l’espansione dei finanziamenti è proseguita a ritmi moderati negli ultimi mesi. Ma se i rendimenti dei titoli di Stato si mantenessero sui livelli attuali (da maggio il valore medio di questi titoli si è ridotto del 9%) il costo del credito crescerebbe. Gli analisti di Bankitalia ricordano precedenti significativi: nel 2010-2011 un aumento di 100 punti dello spread BtP-Bund ha prodotto in un solo trimestre un aumento dei tassi di interesse dello 0,30% per i mutui e dello 0,70% per i prestiti alle imprese non finanziarie.
Le banche. La buona notizia è che la qualità del credito e la redditività continuano a migliorare: nei primi sei mesi si sono ridotte del 13% le consistenze di crediti deteriorati lordi (20 miliardi gli Npl ceduti contro i 42 dell’intero 2017 e altrettanti dovrebbero essere dismessi entro fine anno), con la conseguenza che il rapporto tra crediti deteriorati e totale dei finanziamenti al netto delle rettifiche è sceso al 5%, un punto in meno rispetto a dicembre 2017. Ma il consolidamento dei bilanci deve fare i conti con le tensioni sul debito sovrano: nei sei mesi al 30 giugno il Cet1, rapporto fra capitale di migliore qualità e attivo, era sceso «di circa 60 punti base», di cui 40 solo nel secondo trimestre, penalizzando di più gli istituti minori che hanno visto ridursi di 75 punti base il Cet1 fra marzo e giugno contro i 30 pb delle banche maggiori. Anche l’indicatore di liquidità è sceso a ottobre a 15,5 da 17,1 dello scorso maggio. Va detto che le banche italiane hanno fatto la loro parte come stabilizzatore del mercato dei titoli sovrani, visto che tra maggio e settembre hanno fatto acquisti netti per 39 miliardi, mossa che ha portato il peso dei titoli di Stato sul totale delle attività al 9,5% (+0,7%) un valore di due punti inferiore ai massimi di inizio 2015. Questi nuovi acquisti vanno però letti in parellelo con le ingenti vendite di bond sovrani da parte di investitori esteri, la cui quota tra i detentori del nostro debito è scesa al 24% nel secondo trimestre (-3%); è la variazione negativa più alta dal secondo trimestre 2012 ed il calo è proseguito anche nel terzo trimestre. Anche l’ultima edizione del Btp Italia, nella fase riservata agli istituzionali, ha visto latitare la componente estera con il risultato che il 93% è stato sottoscritto da investitori italiani. In particolare, circa il 62% dell’ammontare emesso è stato collocato presso le banche ed il 20% circa a istituzioni ufficiali.
Le imprese . S’è detto dei rischi di aumento del costo del credito. Nel frattempo pure il costo di finanziamento non bancario è cresciuto. Nel Rapporto di Bankitalia si evidenzia come il rendimento medio delle obbligazioni a tasso fisso emesse nel terzo trimestre dalle imprese è salito al 3,5% dall’1,8% dei primi tre mesi dell’anno (siamo al top dal 2014).
Le assicurazioni. Poiché le compagnie hanno investito il 34% dei loro attivi in titoli di Stato, la loro esposizione al rischio sovrano è «particolare». Il calo di valore di mercato degli attivi è stato del 2,3% nel secondo trimestre, mentre gli indici di solvibilità (in media ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari) sono scesi del 23%.
Insomma il costo dello spread va ben oltre la spesa per interessi sul debito pubblico che deve pagare il Tesoro (+1,5 miliardi negli ultimi sei mesi, + 5 miliardi nel 2019 e + 9 miliardi nel 2020 se si rimane sui tassi attuali). E proprio mentre rischi per la stabilità finanziaria legati all’evoluzione globale sono in aumento, a pagare rischia di essere l’intera economia, dicono i numeri di Bankitalia, che nel Rapporto lancia un avvertimento di prospettiva: l’effetto di amplificazione negativa sui mercati che potrebbe avere, nei primi mesi del 2019, una nuova variazione negativa dei rating da parte delle agenzie. Ieri Kathrin Muehlbronner, senior vice president di Moody’s, ha avvertito: lo scontro con l’Ue manterrà elevati i costi di finanziamento del debito e i rischi per l’economia: «Non ci aspettiamo una crisi di funding (finanziamento, ndr) per il governo italiano – ha affermato – ma notiamo che gli investitori stranieri sono stati prevalentemente venditori di asset italiani negli ultimi mesi, un trend che ci aspettiamo continuerà».