Fonti autorevolissime in ambito governativo, dopo l’incontro di lunedì fra il premier Giuseppe Conte e i rappresentanti di una quindicina di associazioni dei risparmiatori medesimi, avevano assicurato che il relativo decreto applicativo sarebbe stato discusso e approvato dal Consiglio dei ministri di ieri. Invece, l’attesissima norma è momentaneamente uscita dai radar: da palazzo Chigi, in serata, confermavano che un Cdm insolitamente breve – una mezz’ora di discussione in tutto – si era occupato del Documento di economia e finanza (Def), ma non della questione banche e risparmiatori traditi.
Dunque, un altro slittamento. Resta da capire se il rinvio dell’esame in Cdm sia stato determinato da questioni strettamente tecniche, legate alla predisposizione del provvedimento dal parte dei tecnici del ministero dell’Economia, o se invece il no allo schema-Tria, pronunciato lunedì al tavolo governativo da due delle associazioni più rappresentative, «Noi che credevamo nella Banca Popolare di Vicenza» e «Coordinamento don Torta», abbia insinuato qualche ulteriore dubbio nella maggioranza gialloverde, soprattutto sulla sponda 5 Stelle.
Fonti di palazzo Chigi riferiscono che, in effetti, della questione rimborsi si è discusso, ma fuori dal Consiglio dei ministri: dopo la rapida adunanza del Cdm, si è tenuta una riunione specifica sul tema, alla quale hanno partecipato il premier Giuseppe Conte e i due vicepremier, Matteo Salvini (Lega) e Luigi Di Maio (5 Stelle), che lunedì non erano presenti all’incontro con le associazioni dei risparmiatori. Con tutta evidenza, ci sono ancora dei dettagli da mettere a punto, sia sul piano tecnico che su quello politico, prima di dare una forma definitiva al provvedimento.
Dal Movimento 5 Stelle fanno sapere che si tratta soprattutto di una questione legata alla stesura di un decreto legge così complesso. La norma, infatti, una volta chiarito – secondo lo schema del cosiddetto «doppio binario» – che verranno rimborsati in modo automatico tutti i risparmiatori che abbiano un reddito imponibile inferiore ai 35mila euro o un patrimonio mobiliare fino a 100mila, deve anche definire nero su bianco il percorso che attende, invece, quella minoranza di ex soci costituita da soggetti che superano quelle soglie reddituali e patrimoniali. Il governo avrebbe previsto, in questi casi, una sorta di arbitrato semplificato, affidato a una commissione di esperti istituita al ministero dell’Economia: l’esame, però, non avverrebbe caso per caso, bensì per categorie tipizzate di investitori, in modo da agevolare tempi e metodi di giudizio. Però, fanno sapere dal Mef, un conto è dirlo a parole, un altro conto è predisporre lo schema con la dovizia richiesta da un testo legislativo.
Tra i risparmiatori veneti, comunque, l’ennesimo rinvio ha rinfocolato le preoccupazioni degli uni (quelli che lunedì, all’incontro con Conte, avevano dato parere favorevole al «doppio binario» e contavano in una rapida definizione della pratica), e le speranze che il decreto possa ancora essere cambiato degli altri, i contrari allo schema Tria, considerato poco più che «un atto di carità per i più poveri» (dove i poveri sarebbero, per l’appunto, quelli con un reddito inferiore ai 35 mila euro). «Noi non vogliamo elemosine – ribadisce Andrea Arman, del coordinamento trevigiano tra le associazioni dei soci delle ex banche venete – e non ci piace un decreto che crea una disparità di trattamento tra uguali. Non sappiamo cosa stia accadendo a Roma, ma ci auguriamo fortemente che sia in corso una riflessione nel governo e che magari questa riflessione porti a un ripensamento. Quelli che hanno detto di sì alla proposta di Tria erano gli affaristi, non i veri risparmiatori».
Non è stato il solo, Arman, a sollevare dubbi e perplessità sulla proposta uscita dal confronto con il premier Conte e il ministro Tria. Anche Luigi Ugone, leader di «Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza», ha opposto il suo parere contrario, motivandolo così: «Non diamo il nostro consenso a una norma che non ci hanno fatto neppure leggere». E ha aggiunto, con amara autoironia: «L’ultima volta che ho firmato delle carte senza capirle bene è stato quando ho comprato le azioni della BpVi. Noi non vogliamo lasciare indietro nessuno».
Un certo alone di mistero rimane anche attorno alla percentuale di risparmiatori che verrebbero indennizzati in modo automatico, poiché rientrano nei parametri reddituali e patrimoniali definiti dalla proposta Tria: secondo il governo, verrebbe soddisfatto addirittura il 90% della platea di aventi diritto. C’è chi, tra le associazioni, la ritiene una stima credibile (anche sulla base di simulazioni ad hoc), per quanto suoni ottimistica, e chi invece la considera una percentuale decisamente troppo elevata. Un fatto, pero, è palese: su come si sia arrivati a fare questo numero, non c’è certezza alcuna.