Non è un vero e proprio allarme, almeno per il momento. Ma l’accesso delle banche italiane al mercato dei capitali è un argomento che preoccupa, e non poco, la platea finanziaria riunita ieri al XXV Congresso Assiom Forex e trova anche ampio spazio nell’intervento del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Se infatti nell’immediato le antenne sono tutte sintonizzate sul tema della crescita del Paese e sulle risposte da dare per uscire da quella recessione decretata in via tecnica dai dati Istat di questa settimana, in una prospettiva di medio termine la questione legata al funding del sistema del credito assume una dimensione di assoluto rilievo e preminenza, forse anche superiore a quelle della gestione delle sofferenze e dell’adeguamento del patrimonio ai requisiti regolamentari.
L’analisi del Governatore è partita da un dato storico, inconfutabile, che appartiene al passato prossimo: dal 2011 a oggi, ha ricordato Visco, l’ammontare di obbligazioni nette emesse sui mercati internazionali è stato complessivamente negativo per 47 miliardi di euro, mentre la loro incidenza sul totale della raccolta è nello stesso periodo scesa dall’11,5% al 9,5 per cento. Due cifre che testimoniano come le crescenti problematiche riscontrate sul mercato interbancario siano state in larga parte tamponate con il ricorso al finanziamento a tassi agevolati garantito dalla Bce, operazioni che «hanno contribuito a sostenere l’erogazione del credito alle famiglie e alle imprese e a ridurne il costo».
Ora però per le quattro aste di rifinanziamento vincolate a lungo termine T-Ltro effettuate fra giugno 2016 e marzo 2017 e attraverso le quali, ricorda Visco, «l’Eurosistema ha assegnato alle banche italiane circa 240 dei 740 miliardi totali destinati agli intermediari dell’area dell’euro» la data di scadenza si avvicina. Una prima tranche di finanziamenti, gli analisti di Deutsche Bank stima siano 105 miliardi, dovrà essere restituita nel giugno 2020, ma come sottolinea Prometeia, il rispetto dei vincoli regolamentari sulla struttura del funding – in particolare il Nsfr, net stable funding ratio – «comporterebbe la necessità per le banche di approvvigionarsi di fondi a medio lungo termine già con un anno di anticipo, quindi dal prossimo giugno».
In assenza di una mossa tampone da parte della Bce – che molti tendono a dare per scontata già a partire da marzo, ma che tuttavia resta ancora da decidere a Francoforte – i nodi potrebbero dunque venire al pettine prima di quanto non si pensi. A maggior ragione in una fase in cui, avverte Visco, «le difficoltà di accedere ai mercati internazionali sono tornate di recente ad accentuarsi con il riemergere di tensioni nel mercato dei titoli di Stato». Questi restano infatti sempre ben presenti nei portafogli delle banche italiane, soprattutto le «meno significative» – 330 miliardi alla fine dello scorso novembre, cifra inferiore al picco di 400 miliardi raggiunto all’inizio del 2015, ma in risalita rispetto ai 280 miliardi di fine 2017 – ed «espongono gli intermediari a rischi associati a ulteriori cali dei prezzi».
Anche per questo motivo, ha tenuto a precisare Visco, «il rendimento richiesto dagli investitori sulle obbligazioni senior non garantite con scadenza a 5 anni è attualmente superiore di un punto percentuale a quello richiesto per le principali banche tedesche», ma non si tratta soltanto di una mera questione di costi di finanziamento. Dalla metà dello scorso maggio (il momento in cui lo spread ha iniziato di nuovo ad accelerare la rincorsa dopo la firma del contratto di Governo) a oggi le banche italiane sono infatti riuscite a collocare appena 14 senior e covered bond per complessivi 12 miliardi, registrando il risultato peggiore degli ultimi 10 anni e replicando così l’annata 2011-2012 caratterizzata da una crisi ancora più acuta sul debito.
La situazione attuale pone inoltre un’ulteriore potenziale complicazione di carattere regolamentare, legata ai costi che le banche medio-grandi dovranno sostenere per costituire il «cuscinetto» di passività in grado di assorbire le perdite previsto dalle nuove regole europee per la gestione delle crisi, sulla quale ieri Visco ha richiamato a lungo l’attenzione. Riferendosi appunto ai criteri per la fissazione del Mrel, il requisito minimo di fondi propri e altre passività soggette al bail-in che nel corso di quest’anno il Comitato di risoluzione sarà chiamato a stabilire, il Governatore ha spiegato come Banca d’Italia abbia «più volte rimarcato la necessità di contemperare l’esigenza di assicurare adeguati volumi di passività utilizzabili in caso di risoluzione con quella di far sì che la loro emissione avvenga in modo graduale e ordinato, evitando ripercussioni sul finanziamento dell’economia».
Un richiamo, da parte di Visco, al sistema che deve decidere in merito alla disciplina sui requisiti prudenziali – che coinvolge l’Eba e la Bce, oltre alle stesse Banche centrali nazionali – affinché possa adottare un approccio progressivo in modo da evitare un potenziale impatto sui tassi applicati ai prestiti e, verosimilmente, anche un razionamento della stessa disponibilità di credito per famiglie e imprese.