Fusioni e acquisizioni? Se ne parla molto ma ultimamente si conclude poco, sia in Italia che in Europa. L’ipotesi di merger, tutta in salita, tra Deutsche Bank e Commerzbank sta inevitabilmente calamitando in questi giorni l’interesse degli investitori in Europa. Ma anche in Italia c’è un gran lavorio su progetti di fusione in vari settori. Dai piani globali di Fiat a quelli europei di Mediaset, dall’ormai eterno progetto Tim-Open Fiber al riassetto dell’energia che vede protagonisti Edison-Edf, Sorgenia, A2A e le altre ex municipalizzate, fino alle indecifrabili mosse di UniCredit e al risiko delle medie banche italiane. Molto rumore per nulla?
Volumi a picco
A guardare gli ultimi dati dell’M&A sembrerebbe di sì. Nel primo trimestre 2019 è stata registrata una discesa ai minimi dal 2011 delle operazioni in Italia. E un calo generalizzato anche nel resto del mondo, in particolare per le fusioni cross border. Hanno pesato i timori di frenata dell’economia e di rischio recessione, la volatilità dei mercati azionari – crollati a dicembre 2018 e poi rapidamente risaliti – le incertezze sulle dinamiche globali del commercio e i timori politici in Europa per Brexit e per l’esito delle elezioni Ue. L’idea degli esperti finanziari e industriali è che si vada verso una ripresa delle operazioni. «Nonostante il primo trimestre 2019 abbia fatto registrare una brusca frenata del mercato M&A italiano con controvalori che hanno toccato i 4,2 miliardi di euro (-58% rispetto al I trimestre 2018) rimaniamo ottimisti per la fine del 2019 e per il 2020», spiega Giuseppe Latorre, partner e head of corporate finance di Kpmg, che evidenzia come alcuni fattori congiunturali abbiano influenzato il dato del primo trimestre. «Intanto, a inizio anno c’è sempre stata una certa stagionalità nel mercato M&A italiano. Poi comunque stimiamo una pipeline di almeno 20 miliardi di euro di operazioni già annunciate e che si dovrebbero finalizzare nei prossimi mesi, dalla cessione di Magneti Marelli da parte di FCA per circa 6,2 miliardi alla cessione di Generali Leben al Gruppo Viridium per 1,9 miliardi fino all’acquisizione del business cookies and snaks da Kellogs per oltre 1,1 miliardi da parte di Ferrero. Inoltre sul mercato c’è molta liquidità, soprattutto da parte dei private equity, che cercano occasioni di investimento. Storicamente il mercato M&A è legato agli andamenti di Borsa e per il momento la Borsa italiana dà segnali di tenuta. Certo servirebbe maggiore stabilità per favorire gli investimenti».
Il connotato industriale
Ma, in generale, dal punto di vista industriale quali operazioni hanno senso? «La discesa delle operazioni è dovuta anche alla mancanza di progetti industriali, non a fattori macroeconomici. E ciò è tanto più vero in Italia, dove le aziende disponibili per le attivita di M&A sono ormai le piccole e medie imprese, essendo le rimanenti grandi aziende vincolate geopoliticamente dato il controllo pubblico diretto o indiretto», spiega Roberto Crapelli, managing partner del fondo Industry 4.0-QGroup e senior advisor di Roland Berger. Prima di guardare a quali settori saranno coinvolti dal prossimo giro di M&A e alle variabili finanziarie, occorre approfondire le incognite industriali accentuate dalle nuove tecnologie. «Stiamo assistendo a una fase di trasformazione tecnologica e dei modelli di consumo che mette a repentaglio la top line di molte aziende – commenta Marco Daviddi, coordinatore per EY dei servizi di consulenza transazionale nell’area del Mediterraneo – da un lato, in alcuni settori, quali ad esempio quello della telefonia, è innegabile una certa riduzione di innovazione sui prodotti, che non riescono più a stimolare la domanda dei consumatori sulla fascia premium. In altri settori, quali ad esempio l’automotive, le aspettative dei consumatori sono posizionate molto in alto, sulle motorizzazioni sostenibili, i sistemi a guida autonoma, anche a causa di un dibattito scientifico che forse ha reso l’idea che questa rivoluzione tecnologia fosse oramai una realtà, quando invece c’è ancora molto da investire e da sviluppare».
Investimenti in bilico
E queste tendenze come impattano sull’M&A? «Se i consumatori non perfezionano i loro acquisti, frustrati dal non trovare il prodotto in linea con le loro aspettative e se a questo aggiungiamo comunque uno scenario politico, locale ed europeo, caratterizzato da una certa precarietà, si comprende la riduzione della propensione ai consumi delle famiglie, il calo degli investimenti delle aziende e la riduzione dell’attività transazionale». Le incognite geopolitiche non aiutano certo a intraprendere acquisizioni. Quanto pesano Brexit e le incognite europee collegate alle elezioni? «Sicuramente in funzione delle modalità della Brexit ci potranno essere conseguenze valutarie, economiche e sociali che sono di difficile previsione allo stato, unitamente agli esiti delle elezioni europee che potranno avere degli effetti anche materiali sugli assetti nazionali. Per questo molte iniziative di M&A sono in stand by e potrebbero registrare una accelerazione a partire dal terzo trimestre – è l’opinione di Latorre – l’esito di questo scenario molto fluido a livello geopolitico si ripercuote anche sui livelli di pricing del financing che rappresenta una delle principali leve per le acquisizioni». Più scettico su tempi e modalità di ripresa dei grandi deal è invece Crapelli: «In Europa le operazioni di taglia globale ormai sono bloccate dalla soglia critica dei processi di consolidamento di settore che toccano gli interessi nazionali. Manca l’arbitro di ultima istanza, che non può essere il mercato dei capitali, per decidere in quale Paese allocare i nuovi campioni europei, come dimostrano i casi Luxottica e Fincantieri. E va detto che l’Antitrust europeo non è di aiuto».
Brexit non spaventa
La fuga dagli Uk causa Brexit è un elemento che condiziona molte valutazioni ma che, per ora, non trova conferme concrete. «In effetti sarebbe lecito attendersi un effetto negativo sugli investimenti legato a Brexit, ma le evidenze statistiche sono in controtendenza. Recentemente Ey – spiega Daviddi – ha effettuato una survey globale sulle intenzioni di investimento da parte dei capiazienda dei grandi gruppi internazionali e italiane e questo ha fatto emergere, da un lato, una aspettativa di fiducia molto alta circa la ripresa dei fondamentali economici, a livello global e nel nostro paese, dall’altro Uk è emerso come uno dei mercati ritenuti di maggiore interesse per indirizzare l’attività di investimento. Peraltro in Uk l’attività di M&A sin dal Referendum del 2016 è rimasta consistente e nel 2018 la Gran Bretagna ha totalizzato circa il 10% dell’attività M&A globale, con un volume complessivo di circa 400 miliardi di dollari, il secondo miglior anno dalla crisi finanziaria». In questo contesto in cui ogni variabile pare imponderabile, che previsioni si possono fare sulle fusioni e acquisizioni? Ci sarà una ripresa dell’attività? «Sì, penso ci sarà soprattutto per le Pmi in Europa che interessano i fondi di private equity di ultima generazione, specializzati in operazioni di cambio di modello di business e a caccia degli ebitda lungo le filiere, come facciamo con il fondo Industry 4.0 promosso con Q-Group», aggiunge Crapelli.
Pmi italiane in attesa
Nel settore industriale ci sono tante medie aziende che hanno voglia di crescere attraverso acquisizioni. Secondo le stime di Kpmg in Italia ci sono circa 400/500 aziende industriali che hanno i fondamentali sani e che sarebbero pronte per fare M&A per la crescita. «L’auspicio è che nei prossimi anni il mercato M&A italiano torni su livelli in linea con il nostro Pil, una dimensione accettabile sarebbe intorno ai 100 miliardi di euro – spiega Latorre -: ci sono diversi settori interessanti da tenere sotto osservazione. Pensiamo alle infrastrutture, alla tecnologia, al food, ma anche ai servizi. Si tratta di settori che hanno bisogno di avviare processi di consolidamento. Nel financial services a breve dovrà partire tutto il consolidamento delle popolari e poi vediamo un interesse molto forte per le Fintech da parte degli investitori finanziari». Fiducioso sulla ripresa dell’M&A è anche Daviddi di EY. «Il nostro osservatorio ci fa essere ragionevolmente positivi su una riprese dei deals, seppure i fondi di private equity saranno sicuramente meno attivi rispetto al recente passato. In Italia ci aspettiamo alcuni effetti positivi legati al bonus fiscale per le integrazioni aziendali previsto nel Decreto Crescita, a supporto di un trend di consolidamento peraltro già evidente nel nostro paese e sicuramente necessario per rendere più competitivo il nostro tessuto produttivo. Ci aspettiamo attività intensa nel settore energy – power & utilities, nel settore automotive, nel technology e in quello manifatturiero».