Era (o sembrava) passato di moda da un pezzo. A lungo è stato qualcosa di cui pareva ci si dovesse vergognare. Ora: sarà colpa-merito della lunga crisi che abbiamo attraversato, della ripresa che da lì abbiamo saputo ricostruire, delle ombre che oggi vediamo — di nuovo — proiettarsi sulle basi stesse della nostra ripartenza.
Sta di fatto che quell’«orgoglio della fabbrica» solo ieri considerato démodé (ed è un eufemismo) oggi è una specie di filo che, qua e là, unisce grandi fabbriche controllate da multinazionali e piccole e medie aziende hi tech a controllo ancora familiare, gli imprenditori e i manager ai lori dipendenti, il made in Italy più classico e le nuove frontiere di un laboratorio di ricerca, di servizi, di idee. Open Factory, la domenica delle «fabbriche aperte» organizzata da L’Economia del Corriere della Sera e da ItalyPost, nasce così. Dalla constatazione che c’è un’Italia manifatturiera orgogliosa di quel che produce, di come lo fa, di dove lo porta.
Potrebbe accontentarsi di essere apprezzata dai mercati globali. Non le basta più: vuole farsi conoscere dai «vicini di casa», condividere ciò che è con il territorio in cui lavora e produce, mostrare di quali eccellenze è capace e anche, perché no, dimostrare che persino uno stabilimento metalmeccanico (oggi dovremmo dire «meccatronico») non ha più niente a che vedere con la fabbrica novecentesca, concentrato di rumore, polveri, puzza d’olio e di saldatura.
Il «viaggio nella cultura manifatturiera» che, oggi, coinvolge una cinquantina di imprese-laboratori-musei aziendali (in sette Regioni), è stato presentato il 19 novembre in un convegno organizzato da L’Economia in uno dei luoghi simbolo di questa Italia: la sede di Fontana Milano 1915.
Le borse firmate dai fratelli Massa, terza generazione di una famiglia di pellettieri «nati» a Firenze, sono una delle più tipiche forme di made in. Un «tipico» che è però, anche, solo una delle tappe di Open Factory. La settimana scorsa, a «lanciare» il viaggio, oltre a Conai (il presidente, Giorgio Quagliuolo, ha premiato nell’occasione le 7 migliori aziende del bando per la prevenzione) c’erano per esempio Nestlé (domenica aprirà le sedi di Perugina e Acqua Panna), Eni (con i centri ricerca di San Donato e Novara), Lavazza, A2A e Unipol per i big; la friulana LimaCorporate con le sue protesi hi tech, la modenese Certego-Vem con le sue soluzioni di cybersecurity (e altro dell’universo digitale), la trevigiana Antrax con caloriferi ormai, elementi di arredamento firmati dai grandi nomi del design.
Chiamiamo tutto questo orgoglio, innovazione, trasparenza, tecnologia, stile: come vogliamo. Ma teniamolo bene a mente. Senza, ci giocheremmo il futuro.
*L’Economia, 20 novembre 2018