Convince tutti, politicamente suona bene, ma soprattutto serve come il pane alla manovra. Lega e Movimento 5 Stelle hanno deciso di «rottamare» il bonus Renzi degli 80 euro. Introdotto nel 2016 dall’allora presidente del Consiglio, che ne fece una battaglia quasi personale con Angelino Alfano e Pier Carlo Padoan, il «premio» da 80 euro lordi mensili per i lavoratori dipendenti sotto i 26 mila euro di reddito costa la bellezza di 9 miliardi euro l’anno e finisce nelle tasche di 11 milioni di contribuenti.
Nel vertice di ieri sera a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte e i ministri economici sembra sia stata pronunciata la sentenza definitiva. Sarà azzerato, e utilizzato per finanziare il primo modulo della flat tax per le persone fisiche, che debutterà con la legge di Bilancio del 2019, insieme all’estensione della tassa forfettaria del 15% per le imprese.
Per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, il «bonus Renzi» è troppo complicato. Non è uno sgravio (e non riduce la pressione fiscale complessiva, cosa che faceva dannare Padoan), e crea problemi al momento dei conguagli, con troppa gente costretta a restituirlo in tutto o in parte per aver superato il tetto di reddito. Meglio utilizzare i 9 miliardi per una prima riduzione delle aliquote o un accorpamento degli scaglioni Irpef. Il primo modulo della flat tax per i cittadini, appunto.
L’idea, confermata dal vertice di ieri sera, è quella definire da subito, con la legge di Bilancio del 2019, ma triennale, il percorso dei tagli fiscali sulle famiglie per l’intero arco della legislatura. Un programma a tappe, ma credibile perché scritto in una legge. Il governo sfrutterebbe l’effetto annuncio, capace di incidere positivamente sui consumi e sulla crescita, ed avrebbe tempi più comodi per le coperture. Qualsiasi sgravio fiscale si decidesse per il 2019,avrebbe i principali effetti contabili nel 2020, cioè nel momento della dichiarazione dei redditi. Lo stesso discorso vale per le imprese. Qui il piano è ancora più semplice, perché basta alzare i tetti di fatturato sotto i quali si applica il regime forfettario dei minimi, con l’aliquota già al 15%.
Sia la Lega che il Movimento sono decisi a varare gli sgravi sia per le famiglie che per le imprese e dare così un segnale di cambiamento all’economia. Sulla copertura della manovra fiscale c‘è ancora qualche distanza. Se il sacrificio del bonus Renzi mette tutti d’accordo, come la «pace fiscale» che però darebbe un gettito una tantum, ci sono differenze sulla linea da tenere con la Ue nel negoziato per ottenere la possibilità di fare un deficit un po’ più alto. Salvini e i suoi sono prontissimi allo scontro, mentre Di Maio appoggia la linea di Tria della «compatibilità».
Con la flat tax, l’avvio del reddito di cittadinanza e probabilmente un primo allentamento della legge Fornero sulle pensioni, la manovra del 2019 costerebbe sulla carta circa 25 miliardi di euro, di cui metà per sterilizzare gli aumenti dell’Iva. Sul fronte delle coperture, per ora, ci sono il bonus Renzi, un paio di miliardi di altre detrazioni per le imprese che potrebbero sparire, e il gettito della «pace fiscale». Altro fronte delicato tra Lega e 5 Stelle, con questi ultimi che puntano a circoscrivere la sanatoria solo ai piccoli contribuenti, mentre la Lega la ipotizza anche per le imprese. Da come la si imposta dipenderanno anche gli incassi, che oscillano tra uno e 3 miliardi.
Nelle intenzioni dell’esecutivo le coperture dovrebbero fermarsi qui. Metà manovra, 12 miliardi su 25, dovrebbe dunque essere finanziata in deficit per evitare che tagli di spesa o nuove entrate deprimano troppo l’economia. Non è detto che la Ue sia daccordo. Il negoziato è in corso e per il momento non depone male. Ma anche ieri sera i ministri della Lega sono stati chiari. Il programma di governo deve essere attuato. Checché ne dica Bruxelles.