«Stop alle domande per il diritto di asilo sul territorio della Ue». L’Austria è da nove giorni presidente di turno della Unione europea e spinge a tavoletta sull’acceleratore per promuovere la linea dura sulla gestione della crisi dei migranti.
Non solo confini europei sigillati, per bloccare qualunque sbarco o arrivo via terra non controllato. Presto, se passerà il piano di nove pagine illustrato la settimana scorsa a Vienna, alla riunione dei funzionari del Cosi (Comitato per la cooperazione in materia di sicurezza interna del Consiglio Europeo), sarà impossibile presentare qualunque domanda di asilo nei nostri Paesi.
Una rivoluzione radicale, che stopperebbe di fatto la prassi in vigore da decenni, regolata dalla Convenzione di Ginevra: le persone che fuggono dalla loro terra per motivi di persecuzione politica, razza o religione e raggiungono un Paese sicuro, hanno diritto di avviare lì una procedura per una richiesta di protezione. Siamo alla vigilia del vertice dei ministri degli Interni a Innsbruck, l’11 e 12 luglio, e il governo Kurz porta al tavolo un documento potenzialmente esplosivo, per cambiare completamente il paradigma dell’accoglienza.
«È solo la base per discutere», mette le mani avanti il portavoce della cancelleria, Peter Launsky-Tieffenthal. Il documento segreto di Vienna, pubblicato dal settimanale «Profil», ha scatenato polemiche interne, risvegliando una sonnolenta opposizione: «Così si viola la convenzione di Ginevra», dicono i socialdemocratici dell’Spö.
Il cambio di paradigma
Il paper è stato proposto dall’entourage di Herbert Kickl, ministro degli Interni della destra austriaca (Fpö). Ha come obiettivo un cambio di paradigma, che viene così motivato: la crisi dei migranti del 2015 ha mostrato in modo drammatico i limiti dell’attuale sistema di richieste di asilo, dicono a Vienna. Inoltre, «i migranti che arrivano nei nostri Paesi non sono i soggetti più bisognosi di protezione, ma quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti», alimentando quello che nella retorica d’Oltralpe viene chiamato il «turismo dell’asilo», sfruttato da «estremisti e terroristi».
Chi può entrare?
Ma secondo Vienna, dunque, chi può entrare? Dovrebbero essere gli Stati Ue a scegliere quante persone far venire. Nei campi – «hotspot» – creati fuori dal territorio dell’Unione le organizzazioni internazionali come l’Unhcr o la Iom dovrebbero identificare chi ha davvero bisogno di protezione, su mandato dei singoli Paesi Ue. Ogni membro Ue potrà stabilire a quanti migranti concedere l’asilo. Va detto che sulla possibilità di costruire hotspot in Africa vige la totale incertezza, primo perché molti stati africani si sono rifiutati di ospitare centri-migranti, secondo perché il Consiglio europeo del 28 giugno di fatto li ha esclusi. E infatti Vienna usa questo argomento per difendersi: «È un documento per i funzionari, è stato in parte superato dalle decisioni del 28», dice il portavoce del governo.
In conflitto con Ginevra
Due categorie di migranti potrebbero far domanda di asilo: «Coloro che rispettano valori, diritti e libertà fondamentali della Ue». Una richiesta, però apparentemente in contrasto con la Convenzione di Ginevra del 1951: tra i doveri del richiedente c’è quello di conformarsi alle leggi del Paese ospitante, non ai valori. Sarebbero anche accettati i migranti che «scappano da un Paese vicino all’Ue», o da terre lontane, ma «se non trovano nessun Paese terzo sicuro tra il loro e il Paese di primo approdo Ue». Afghani, iracheni, siriani, eritrei e somali, insomma, che con l’attuale sistema hanno buona probabilità di vedere accettate le loro domande di asilo, sarebbero tutti respinti alle frontiere esterne. Loro e le loro domande d’asilo. Sempre il giro di vite proposto da Kickl andrà avanti, trovando prima di tutto consenso tra i colleghi del ministero degli Interni degli altri Paesi.