Esiste un Nordest felix, un insieme di luoghi magari non omogenei ma patria di imprese di successo, performanti e sane? La risposta è affermativa e ci viviamo nel mezzo. È questa una delle chiavi di lettura de “Quei champion che continuano a crescere”, l’anteprima del Festival Città Impresa che il 28 marzo a villa Cordellina Lombardi ha accolto testimonianze d’eccezione e riflessioni. L’altro passepartout dell’incontro è offerto dal vicepresidente della Provincia Giancarlo Acerbi, che si sofferma «sull’importanza delle relazioni tra territorio e imprese e sulle responsabilità sociale di queste ultime». Un terzo input giunge da Stefano Micelli, docente a Ca’ Foscari di Venezia. «Le medie imprese hanno nelle champion la punta di diamante del triangolo industriale del Nordest – dice -. Quella che è sopravvissuta alla crisi e che ha contribuito a rinnovare il territorio dove sono nate». E questo non grazie a ricette standardizzate ma a ragione di «un mix di digitale e manifatturiero in scala, in prima battuta. In seconda si tratta di aziende che non hanno avuto paura della globalizzazione pur non rinunciando al radicamento nel territorio». Ci sono però quesiti che non hanno ancora avuto una risposta. È il tema del capitale umano. «I numeri ci dicono che tanti giovani di questa regione se ne vanno e spesso sono giovani laureati – ricorda il docente -. Perché non trovano in questi territori soddisfazione?».
Va detto che gli spunti che arrivano da Montecchio Maggiore sono molti. La “regia” affidata alla giornalista del Corriere della Sera Raffaella Polato corre su un fil rouge ideale che non si discosta dall’idea che se un’azienda è champion, lo è anche grazie al territorio nel quale quest’ultima è radicata. Si parla di sviluppo, cicli produttivi, processi industriali, competitività, indotto, filiere e cultura aziendale. Testimonianze e suggestioni arrivano dall’esperienza di Piegiorgio Cattelan, presidente di Cattelan Italia; Enrico Franzolin, presidente di Unox; Diego Nardin, amministratore delegato di Fope. Parole e storie che approdano giocoforza a chiedersi perché il modello delle piccole e medie imprese champion non entri nell’agenda del Paese. Il dito nella piaga lo spinge Franzolin. «In questi anni ho cercato di isolare l’azienda dal Sistema Italia – dice -. Ci sono difficoltà continue di dialogo con le istituzioni, c’è la burocrazia e poco rispetto per le aziende che lavorano bene». Mancano cioè riconoscenza e riconoscimento.
Vicino ai “testimoni” champion ci sono Carlo Robiglio, presidente di Piccola Industria di Confindustria, e Stefano Barrese, responsabile della Divisione Banca dei territori Intesa Sanpaolo. I riflettori si accendono sul ruolo delle banche da un lato, e sulla preoccupazione che, complice la congiuntura economica e finanziaria, il motore champion possa rallentare o fermarsi. E quanto, in quest’ultimo aspetto, pesi l’assenza della politica. «Gli imprenditori devono percepire la banca come un fornitore strategico. Banche e imprese possano collaborare insieme per aiutare la politica industriale. Ma se la politica industriale non c’è? – osserva Barrese -. Ricordiamoci che l’unico interesse della banca è che l’impresa funzioni». «In Italia manca una classe dirigente – dice Robiglio -. E se non c’è dobbiamo fare i conti con ciò che offre il mercato. In questi anni ho visto molti politici ma pochi statisti. E ora al Paese servono questi ultimi».
*Il Giornale di Vicenza, 29 marzo 2019