Costa fra sei e otto miliardi di euro allo Stato una eventuale decisione del governo di revocare la concessione firmata dodici anni fa con Autostrade per l’Italia (Aspi). È questo l’effetto implicito di una norma nel decreto «milleproroghe» di Natale che, di fatto, modifica le clausole di rottura dell’accordo del 2007 fra il governo di allora e Aspi.
Queste ultime prevedono l’indennizzo totale dei ricavi previsti dall’azienda fino alla fine della concessione nel 2038, in ogni caso: sia che il governo intervenga nell’interesse pubblico, che per inadempienza del concessionario come è il caso per il crollo del ponte Morandi. Anche dopo un «indennizzo» da parte dell’azienda del 10% per i propri errori, il conto della revoca sarebbe dunque astronomico: per toglierle la gestione di quasi tremila chilometri di autostrade, lo Stato dovrebbe versare alla società del gruppo Atlantia 23 miliardi. Con il decreto «milleproroghe», invece, la situazione cambia, ma solo in parte. Una rottura dell’accordo non funzionerebbe infatti come previsto due giorni fa dal capo dei 5 Stelle Luigi Di Maio, secondo il quale «si perdono solo i profitti dei Benetton» (la famiglia che controlla Aspi attraverso una quota del 30,2% nella holding Atlantia). Lo Stato dovrebbe comunque rimborsare Autostrade per le opere già realizzate e altre penali: secondo stime affidabili, appunto, fra sei e otto miliardi. Di sicuro si aprirebbe poi un contenzioso legale, perché Atlantia chiederebbe l’intero risarcimento di 23 miliardi e un pagamento per i danni alla reputazione della holding quotata.
Così fra il governo e i Benetton si sta creando un equilibrio del terrore. Ciascuna delle due parti aspetta che l’altra ceda per prima nel timore di una catastrofe. Il governo rischia di cadere sulla conversione in legge del decreto «milleproroghe», perché Italia Viva rimane contraria a una revoca della concessione considerandola un esproprio; la maggioranza e soprattutto il Pd rischiano anche di essere bollati dagli investitori internazionali come inaffidabili, indifferenti agli impegni presi con le imprese — giusti o sbagliati che essi siano —, capaci di cambiare le regole del gioco arbitrariamente in ogni momento. Quanto ai Benetton, anch’essi hanno qualcosa da temere: rischiano il fallimento di Aspi e pesanti ricadute di mercato sull’indebitata holding Atlantia, dato che le autostrade italiane contribuiscono ancora oggi per un terzo dei margini lordi del gruppo. Se lo scontro sulla revoca finisse in tribunale, lo Stato bloccherebbe qualunque indennizzo a Aspi.
Entrambi i fronti, poi, hanno molto da perdere nell’incertezza di una sfida giudiziaria destinata a durare anni e in grado di infliggere danni pesantissimi su chiunque ne esca perdente. Del resto l’esito dello scontro in tribunale non è scontato perché, per quanto squilibrata e anomala, la concessione del 2007 conserva sempre valore di legge.
Divisi dal crollo di Genova e da tanti altri casi evidenti di cattiva manutenzione delle autostrade, il governo e i Benetton ora hanno circa due mesi. L’atto di revoca del ministero dei Trasporti potrebbe infatti arrivare a inizio marzo. Nel frattempo, le due parti possono provare riprendere le fila di un negoziato che il premier Giuseppe Conte aveva aperto in autunno con una richiesta precisa: un taglio delle tariffe autostradali del 5% stabile nei prossimi anni. Aspi finora ha respinto questa ipotesi, tracciando due linee rosse: rifiuta di offrire riduzioni dei pedaggi — anche quelle proposte dall’Autorità dei Trasporti — e non vuole ridiscutere neanche per il futuro i termini della convenzione che prevedono indennizzi colossali a proprio favore in caso di revoca per la sua stessa malagestione. In compenso gli emissari dei Benetton mettono sul tavolo del negoziato del denaro: 600 milioni di euro per ricostruire il ponte di Genova, 800 per indennizzi ai genovesi e 700 che il governo potrebbe impiegare come meglio crede.
Nel governo quest’offerta viene considerata insufficiente a compensare per le inadempienze di Autostrade. Se però l’azienda mettesse a disposizione altri 700 milioni, si raggiungerebbe una somma sufficiente proprio a sostenere un taglio delle tariffe del 5% come quello richiesto da Conte. In totale l’impegno finanziario di Aspi sarebbe pari a un anno del suo fatturato. Ma in caso di accordo, in pochi giorni un probabile recupero del 20% del titolo di Atlantia in Borsa farebbe salire di un miliardo il valore della quota dei Benetton.