Il parere tanto atteso dell’Avvocatura generale dello Stato, necessario per chiudere il procedimento amministrativo sulla eventuale revoca della concessione di Aspi, ora c’è. È arrivato mercoledì a Palazzo Chigi e al ministero delle Infrastrutture, imprimendo un’accelerazione sulla decisione del governo che potrebbe arrivare non appena sia convertito in legge il decreto Milleproroghe (tra una settimana). Il parere dell’Avvocatura è stato segretato dalla presidenza del Consiglio, ma da indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore trapelano alcuni elementi. Il più rilevante è che al momento (e in attesa delle pronunce della magistratura) non ci sono elementi sufficienti per considerare una decisione di revoca della concessione priva di rischi di contenzioso. In particolare, in sede di Corta di giustizia Ue.
Ci sarebbe il rischio, cioè, che anche l’articolo 35 del decreto legge Milleproroghe, su cui il procedimento di revoca è stato costruito, non superi l’esame della Corte Ue, anche laddove prevede la nullità di clausole convenzionali vigenti. Viceversa l’Avvocatura rileva che puntando sul profilo dell’obbligo di custodia delle opere cui è tenuto il concessionario si sarebbe potuto instradare meglio il procedimentoamministrativo, in questo caso invertendo a carico del concessionario stesso l’onere della dimostrazione del rispetto della convenzione.
I giorni prossimi consentiranno di capire meglio gli argomenti utilizzati dall’Avvocatura nel parere e quale effetto concreto questo avrà sull’azione del governo. Ieri intanto è stato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a fare chiarezza anche rispetto a indiscrezioni di stampa che davano, con diverse interpretazioni, una decisione di revoca praticamente già assunta o, viceversa, rinviata di alcuni mesi. «Il governo – ha detto il presidente del Consiglio – sta conducendo la procedura di revoca ed è interesse della controparte fare una proposta transattiva che il governo avrebbe il dovere di valutare. Se fosse una proposta che offre la possibilità di tutelare l’interesse pubblico più della revoca abbiamo il dovere di considerarla». Gli elementi che chiarisce Conte sono, anzitutto, che l’orientamento del governo resta quello della revoca. Nei giorni scorsi, in effetti, il ministero delle Infrastrutture ha valutato insufficienti le proposte fatte finora dalla concessionaria Aspi e dai suoi azionisti. E la forte irritazione, oltre che la distanza di posizione, viene confermata dal ministero di Porta Pia che considera esigui gli ulteriori spazi di confronto. Conte aggiunge però chiaramente che c’è ancora uno spazio per una «proposta transattiva» da parte di Aspi e che il governo la valuterà. Una nuova proposta transattiva, sembra di capire dalle parole del presidente del Consiglio.
Qui si torna al livello delle indiscrezioni. I piani su cui è necessario raggiungere un accordo per evitare la revoca sono due. Il primo è la disponibilità di Aspi a una massiccia dose di investimenti in manutenzione e sicurezza fuori convenzione, aggiuntivi cioè rispetto a quelli pianificati. Questi investimenti aggiuntivi e urgenti non sarebbero compensati da aumenti tariffari. Sulla cifra si dà una banda di oscillazione fra 3,5 e 4 miliardi. La distanza su questo punto sarebbe ancora molta.
Ma è soprattutto l’altro piano, quello di un accordo per una revisione complessiva della convenzione che regola la concessione, quello su cui il confronto è più difficile. Fin dalla nascita del governo Conte 2, un punto di accordo fra Pd e M5s è stato che tutte le concessioni autostradali sarebbero state sottoposte a una profonda revisione, sulla base del metodo tariffario indicato dall’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) nella sua delibera 16/2019 del 18 febbraio 2019. Una rivoluzione per il settore che i concessionari hanno preso malissimo, presentando ricorso al Tar. L’Autorità guidata da Andrea Camanzi vuole imporre a tutti i concessionari un metodo tariffario unico – in luogo degli attuali sei – fondato su un price cap classico: aumenti tariffari pari all’inflazione meno una X di recupero di produttività (diversa da concessionario a concessionario sulla base di una serie di parametri di efficienza gestionale). E soprattutto la delibera dell’Art poggia sul principio che il riconoscimento tariffario arriva al concessionario solo dopo che l’opera è stata collaudata, indipendente dallo stato di avanzamento dei lavori.
La norma di legge che imponeva la revisione sulla base della delibera Art esisteva già, l’articolo 37 del decreto legge 109/2018 (decreto Genova) ma il governo l’ha voluta ribadire e rafforzare inserendo nell’articolo 13 del Milleproroghe il termine al 31 luglio 2020 per l’adeguamento delle convenzioni e al 31 marzo per la presentazione da parte delle concessionarie dei nuovi piani economico-finanziari coerenti con la nuove regole. Anche qui il rischio di un contenzioso in sede Ue è molto elevato. I concessionari e in genere il mondo delle imprese è trincerato sul principio “pacta servenda sunt”: la legge non può intervenire a modificare accordi sottoscritti fra lo Stato e soggetti privati. Sulla stessa linea si è schierato ieri, il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, confermando la sua posizione: «sono perché Autostrade paghi tanto per quello che è successo, ma attendo strumenti giuridici seri».