Per un seguace della piattaforma Rousseau e della democrazia dei clic, come il ministro Stefano Patuanelli, il pomeriggio di ieri è stato un lungo bagno nella concertazione più classica. Una sorta di seduta di rieducazione all’ascolto dei corpi intermedi. Per parlare di riconversione della filiera automotive ieri infatti il ministro ha potuto conoscere lungo circa 4 ore l’opinione di 46 tra associazioni e imprese, dalla Confindustria alla Assocostieri, dalla Fca alla Lamborghini, che si sono alternate al microfono per esporre il proprio punto di vista sulla transizione all’elettrico e i mille problemi che pone alle filiere produttive italiane. Anche chi non ama questi riti conviene che faccia un’eccezione perché, con incredibile ritardo, è comunque partita un’iniziativa che avrà il suo peso nel cercare le ricette utili per contrastare quello che appare come uno choc di sistema, con rischi enormi sul sistema delle imprese e sull’occupazione.
La riunione formalmente si è conclusa con la decisione di istituire a brevissimo giro tre sottotavoli (gruppi di lavoro) su politiche per l’offerta, incentivi per la domanda e infrastrutture di ricarica elettrica. L’obiettivo è approfondire le analisi e arrivare però in tempi non biblici a vere e proprie indicazioni di policy. Vasto programma ma necessario per ridurre i rischi presenti nella discontinuità di tecnologie e per affrontare i problemi di una manifattura specializzata in produzioni che, almeno in parte, diverranno obsolete. L’iniziativa di Patuanelli ha avuto il plauso di tutti i partecipanti (la Fiom ne ha lodato «il coraggio», la Confindustria «l’apertura»), è riuscita a individuare un comune metodo di lavoro e ha fissato un obiettivo esplicito – darsi «una nuova politica industriale» come ha sottolineato il ministro – che non appartiene certo all’abc dei pentastellati, come dimostra su tutti il caso Ilva. Nella riunione si sono ascoltate anche opinioni radicali che hanno chiesto di togliere l’ecotassa, di «ridimensionare il clima di terrore verso il diesel» e di obbligare la pubblica amministrazione ad acquistare veicoli elettrici made in Italy. Portare a sintesi i differenti
interessi non sarà facile ma il tempo stringe. Francia e Germania questo percorso lo hanno iniziato da tempo, la Ue ha varato una strategia per la ricerca e sviluppo ma per ora non sta finanziando direttamente i progetti comuni e invece l’urgenza è quella di recuperare posizioni nello studio delle batterie, dell’idrogeno e dei veicoli autonomi. Non sarà facile poi «cifrare» l’impegno del governo italiano per sostenere l’offerta, incentivare i consumatori e contribuire alla ricerca comunitaria e bisognerà anche decidere con quali strumenti legislativi le indicazioni di policy sfornate dagli addetti ai lavori si trasformeranno in provvedimenti ad hoc. Il calendario parlamentare, con la legge di Bilancio ormai definita nelle sue linee guida e nei suoi impegni di spesa più rilevanti, non aiuta di certo.