Il premier Giuseppe Conte chiederà all’Unione europea tempi di attuazione «molto distesi» delle sanzioni contro l’Italia. Mettendo sul tavolo, in cambio, tempi di attuazione dei provvedimenti altrettanto distesi, e dunque meno costosi. Almeno di un po’. La drammatizzazione della cena di sabato tra il capo del governo italiano e il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker suscita tra i partner di governo qualche ironia: «Non sarà l’Armageddon». Ma l’ironia forse è più di facciata che di sostanza, se è vero che Conte non andrà a Bruxelles a mani del tutto vuote. Il premier non parlerà soltanto delle riforme in gestazione del «cantiere Italia», ma potrebbe avere nella manica anche qualche «numerino» per correggere la manovra contestata. Anche se resta da capire quale sarà il mandato del presidente del Consiglio da parte dei soci di maggioranza del governo. Tra gli argomenti, anche le nuove dismissioni. Ma sull’argomento le bocche si sigillano: in vendita potrebbero finire anche partecipazioni in società quotate.
Il Movimento 5 Stelle, infatti, dà per scontato uno slittamento dell’entrata in vigore della «quota 100», il primo gradino della cancellazione della riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero e dal governo Monti. I più sfrenati parlano addirittura di un rinvio all’autunno 2019. Matteo Salvini, però, impegnato nella sua due giorni in Sardegna, schiaccia il freno con tutti e due i piedi: «Io ho già detto che il superamento della Fornero partirà in febbraio. E dunque, si possono fare i calcoli sul mese e mezzo, due mesi al massimo. Ma di certo, non può partire a giugno». Ma allora, di che cosa discuterà Conte con Juncker? «Della nostra voglia di crescere. Mi rifiuto di pensare che l’Unione potrà ignorare tutte le riforme che abbiamo in cantiere: giustizia, sicurezza e riduzione della burocrazia». Il quadro generale lo spiega l’economista della Lega Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera: «Il ritardo di un mese su qualche proposta simbolo del contratto di governo potrebbe liberare risorse importanti, e in qualche caso non richiederebbe neppure un ritardo sulla tabella di marcia originale». Un’osservazione non scontata, visto che Borghi è annoverato tra i falchi anti Ue del governo.
L’idea è quella nota: se un provvedimento a bilancio per il 2019 richiede 100, ogni mese di slittamento dell’entrata ufficiale in vigore diminuisce il conto relativo. Detto questo, Salvini è categorico: «Tutto può accadere, tranne che si trasformi una manovra di crescita in una manovra restrittiva». È vero comunque che il clima tra i leghisti è un pochino meno bellicoso. Il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari parte come atteso: «Noi siamo genuinamente convinti che il giudizio dell’Ue sia politico: perché il debito dell’Italia è storia, non nasce stamattina». Detto questo, «con l’attribuzione dei danni dell’alluvione, il nostro rapporto deficit Pil è al 2,2%, dunque pienamente nei parametri». Il punto, prosegue Molinari, «è che non ci si può chiedere altra austerità. Anche perché la manovra prevede 15 miliardi investimenti sulle infrastrutture, sulla flat tax abbiamo già aggiustato il tiro su tre anni». E le pensioni? Quelle non sono propriamente sviluppo: «Quella è giustizia sociale. Ricordo che siamo il terzo Paese al mondo per l’età pensionabile avanzata». Resta il problema della crescita, che in entrambi i partiti preoccupa. Ad aggiungere ansia, la brusca diminuzione dei contratti a tempo indeterminato certificata dall’Istat. Un dato difficile da ricondurre al quadro a tinte rosee prospettato dal governo sullo shock economico che dovrebbe rianimare la crescita italiana. Ma il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, ospite di Sky, mette le mani avanti: «Il decreto dignità è entrato in vigore il primo novembre, attribuirgli il calo è ridicolo».