L’ultima smentita cala giù da Palazzo Chigi venti minuti dopo la mezzanotte: «Di Maio non ha partecipato ad alcun vertice». Ma se il ministro degli Esteri all’ora di cena era lontano dalle stanze del governo, ai piani alti c’era un tavolo apparecchiato per il premier Giuseppe Conte, rientrato alle sette da Bruxelles. Tra i commensali, i ministri Riccardo Fraccaro e Stefano Patuanelli e, nel menù, la patata rovente dei sottosegretari, che i 5 Stelle non riescono a pelare.
Si litiga per ogni casella, o quasi. Conte ha spronato a chiudere entro oggi(«Sarebbe buono riuscire a completare la lista della squadra per poter partire») e ha convocato alle 15 il Consiglio dei ministri per il via libera. «Noi siamo pronti», hanno fatto filtrare dal Nazareno i dem, per non farsi sfuggire la medaglietta di primi della classe. I 5 Stelle invece hanno chiesto altre 24 ore e, raccontano gli alleati, «sono spariti». Insomma, l’intesa non c’è ancora e non è detto che Conte, pur pressato dal Quirinale, riesca a chiudere la partita oggi stesso, magari dopo un ultimo vertice con i quattro ambasciatori, Patuanelli, Spadafora, Franceschini e Orlando.
Il quartetto è preso d’assalto, candidature e autopromozioni sono oltre 200. Al Pd devono districarsi tra 120 aspiranti, mentre i vertici del M5S hanno avuto 14 richieste dalla sola commissione Agricoltura. E pazienza se Di Maio voleva «rose» di cinque petali.
Durissimo il braccio di ferro allo Sviluppo. Il Pd alza la voce, chiede per Antonello Giacomelli le deleghe sulle telecomunicazioni e per Gian Paolo Manzella quelle dell’energia. Scontro anche sull’editoria, che Emilio Carelli contende ad Andrea Martella. I 5 Stelle vogliono sfilare a Franceschini le deleghe sul turismo e Riccardo Fraccaro punta alle Riforme, che il Pd chiede per Roberto Cociancih. L’attuazione del programma, poi, piacerebbe al ministro Federico D’Incà.
La trovata di Di Maio di scaricare i pezzi del puzzle sui tavoli delle commissioni ha scatenato gelosie, veleni, invidie. «La storia delle rose di nomi è una presa in giro», si sfoga un deputato silurato. E una fronda di oltre dieci onorevoli sta scrivendo un documento contro le rendicontazioni: «Basta con il caos degli scontrini, vogliamo pagare, ma a forfait». Dopo risse verbali diurne e notturne, i presidenti delle commissioni hanno compilato le liste dei papabili da consegnare a Di Maio. Il duello tra Laura Castelli e Stefano Buffagni, su chi dovrà «tallonare» in via XX Settembre il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e il vice in pectore Antonio Misiani, è finito in parità. Lei sarà viceministro e lui, che ieri ha parlato con il presidente Fico, sottosegretario: <Contano le deleghe, non le qualifiche».
Nel Pd, dove vanno forte Lele Fiano all’Interno e Marina Sereni agli Esteri, c’è stata tensione su quanti posti assegnare ai renziani, che hanno indicato Ascani, Marattin, Malpezzi, Cocianchich, Fiano e Margiotta. Maurizio Martina ha chiesto quattro incarichi per i suoi, ma rischia di averne uno solo se accetterà di andare all’Interno come vice di Luciana Lamorgese. Per la Giustizia il M5S conferma Vittorio Ferraresi e il Pd pensa a Giovanni Legnini. In corsa anche due ex del governo Conte I, Elisabetta Trenta e Barbara Lezzi.