Asco Holding, la linea di comando leghista cerca di spingere all’uscita i privati di Plavisgas. Ma le complicazioni sul percorso per chiudere la guerra del gas sono molte; e non si tratta solo di soldi, comunque tanti, visto che il piano può costare fino a 125 milioni. Di questa proposta avrebbero parlato a lungo, mercoledì a Roma, dopo un primo pour parler due mesi fa, il rappresentante della cordata di imprenditori di Plavisgas, Massimo Malvestio, e Nicola Cecconato, il presidente di Ascopiave, la utility del gas controllata al 61,5% dalla Holding, che ha preso in mano la situazione al posto del presidente della Holding, Giorgio Della Giustina. La ricostruzione l’avrebbe fatta lo stesso Cecconato, venerdì mattina, nella riunione dei 26 Comuni battuti al Tar da Plavisgas, ricorsa contro la linea di risolvere il nodo della legge Madia sulla vendita delle partecipate con la fusione della Holding con la controllata Tlc, invece che per la via naturale della quotata Ascopiave, dichiarando servizio essenziale per i Comuni la fibra ottica.
Dunque il primo passo messo a punto dal fronte dei soci leghisti per andare avanti dopo la sconfitta al Tar è di semplificare il quadro, facendo uscire Plavisgas. Per poi andare avanti sulla linea derivata dalla decisione del tribunale amministrativo: rifare entro il 30 settembre le delibere dei Comuni bocciate e andare avanti con una versione corretta della fusione Holding-Tlc. Che potrebbe avanzare senza troppi intoppi, mancando il socio riottoso .
Ma la questione non è così semplice. Intanto per liquidare Plavis servono grosso modo 45 milioni, il doppio dei 26 spesi dai privati nel giugno 2016 per rilevare da cinque Comuni l’8,6% della Holding. Per pagare, la Holding potrebbe usare 15 milioni di cassa a cui aggiungerne altri 30 di nuovo debito. Operazione percorribile, accettando il rischio di una flessione dei dividendi nei prossimi anni per restituire il prestito.
Ma la questione può complicarsi ancora. Plavis ha posto come condizione per chiudere l’avvio di un’offerta pubblica d’acquisto – come legalmente dev’essere – sulle quote dei Comuni contrari alla linea leghista che vogliano uscire. Per farlo si potrebbe puntare a un’offerta in contanti o su uno scambio azioni Holding-Piave, che darebbe ai Comuni titoli facilmente liquidabili quando necessario per eseguire investimenti, senza vedersi bloccare l’incasso cash dal patto di stabilità. Per eseguire l’accordo si potrebbe far scendere la quota di controllo della Holding sulla Piave dal 61% al 50% più un’azione, usando fino all’11%, che vale 80 milioni. Che porta il valore del piano, nel complesso, a 125.
Basteranno? Perché l’incognita maggiore resta quanti Comuni potrebbero voler sfruttare la via d’uscita, una volta aperta. Oltre all’altra che tocca direttamente la linea che devono tenere i municipi sconfitti al Tar. Nella riunione dell’altra sera è emersa la volontà di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar. Ma come conciliare l’opposizione frontale ai privati, con la necessità di rifare le delibere annullate – accettando il verdetto del Tar – per avviare poi il percorso che li fa uscire? Sapendo che difficilmente la decisione d’appello arriverà prima del 30 settembre, ultima scadenza indicata anche dal Tar? E non a caso l’altra sera i sindaci Pd avrebbero fatto sapere di non voler ricorrere.
La necessità di una rapida approvazione della nuova delibera di ricognizione delle partecipate da parte dei Comuni sarebbe d’altra parte imposta anche da un’altra esigenza immediata. In attesa del ricorso al Consiglio di Stato, i Comuni sconfitti avrebbero perso provvisoriamente il diritto di voto. L’avrebbero confermato, l’altra sera a Pieve di Soligo, gli stessi consulenti legali. Ma intanto c’è da affrontare entro breve l’assemblea di bilancio di Asco Holding. E i privati potrebbero escludere il fronte avversario, soprattutto se andranno avanti i ricorsi al Consiglio di Stato. Dunque il possibile accordo è messo su strada. Ma il terreno resta un campo minato che metterà a dura prova la capacità di andare fino in fondo.