In attesa di sciogliere il nodo politico della Tav, la componente M5s del governo – a partire dal vicepremier Luigi Di Maio e dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli che ha la competenza diretta – lancia segnali di moderata apertura sulle infrastrutture. Sta prendendo corpo un piano – o se si preferisce una lista di priorità – di grandi e medie opere che possono essere sbloccate in tempi rapidi. Non ci sono le grandi infrastrutture del Nord: né la Torino-Lione né l’Alta velocità Brescia-Padova (su cui c’è una frenata rispetto ai toni ottimistici di qualche tempo fa) né la Gronda di Genova (non tanto per il progetto in sé quanto per il conflitto in corso sulla concessione di Aspi). Ma, pur senza i calibri più importanti, il piano Tonineli vuole essere una prima risposta alle imprese che denunciano ormai da mesi uno stato insostenibile di blocco e individuano nei cantieri la risposta più logica per rilanciare il Pil. Ieri l’Ance, l’associazione dei costruttori, ha adeguato il proprio monitoraggio delle opere ferme facendo salire l’importo degli investimenti bloccati da 25 a 33 miliardi: è stata inserita la Torino-Lione, con la conseguente crescita dei posti di lavoro collegati a 516mila.
Ma cosa c’è nella lista che sta mettendo a punto Toninelli? Ci sono il raddoppio della ferrovia Cremona-Mantova, la Val d’Astico (se si trova un’intesa con gli enti locali), la Campogalliano-Sassuolo, i ponti sul Po (per cui la legge di bilancio stanzia 250 milioni), il rafforzamento del polo aeroportuale Firenze-Pisa (ma non significa necessariamente la seconda pista nel capoluogo). C’è l’accelerazione della Sassari-Olbia, in tutto 320 milioni per completare i lotti 2, 4, 5 e 6. Come pure la Nuoro-Olbia e la 106 Statale Jonica che da sola vale 1.335 milioni. Sarà sbloccata anche l’Alta velocità Napoli-Bari, come sarà garantito un servizio ferroviario più veloce fra Roma e la Calabria. Un piano, insomma, che sta muovendo i primi passi.
Un piano che è anche un tentativo di trovare una soluzione di compromesso con l’alleato leghista, niente affatto disposto a mollare sul tema. O a evitare di ritrovarsi nell’angolo in campagna elettorale. Anche il premier, Giuseppe Conte, sabato da Matera ha rilanciato come priorità l’accelerazione sugli investimenti pubblici, intestandosi la nuova “missione impossibile” dopo il miracolo europeo. Per non parlare del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che ieri è stato tranchant: «Basta filosofeggiare, le opere devono partire». Ed è una battuta che forse ha dietro il conflitto in corso proprio con Toninelli sulla collocazione della megastruttura centrale di progettazione prevista dalla legge di bilancio (con 300 assunzioni), in bilico fra Mef (Agenzia del Demanio) e Mit (Provveditorati). Una partita che Conte dovrebbe sciogliere con un Dpcm entro il 31 gennaio.
Intanto è ormai chiaro che non si arriverà con lo stallo Tav fino alle europee. Troppa tensione. Anche al Mit riconoscono che un’accelerazione rispetto a quello scenario è probabile. A fine mese dovrebbe tornare al ministero l’analisi costi-benefici «integrata», dopo gli approfondimenti chiesti alla commissione guidata da Marco Ponti. Fra le integrazioni richieste una valutazione di costi e benefici anche per singole parti dell’opera e una riconsiderazione dei costi della tratta nazionale sulla base della project review già fatta. Il documento tecnico finale terrà conto anche dell’analisi giuridica sui costi aggiuntivi da sopportare in caso di una eventuale cancellazione dell’opera. In questo capitolo, si dovrà probabilmente tener conto di una richiesta Ue di valutare la rinuncia a tutti i finanziamenti europei sul corridoio est-ovest: non solo quelli per la Torino-Lione ma anche quelli per la tratta da Torino a Trieste. Non avrebbe senso infatti – per Bruxelles – finanziare un corridoio che a un certo punto si interrompe perché una parte delle opere non si realizza.