Dove prima c’era una distesa di terreni agricoli con la statua della Madonna che vegliava sui contadini, ora è rimasto un solo mulino, l’ultimo di Napoli, tra una manciata di palazzi e il murale di Maradona. È il quartiere San Giovanni a Teduccio nella periferia orientale della città partenopea. Quel mulino appartiene dal 1939 alla famiglia Caputo, da cui deriva il nome dell’azienda: Mulino Caputo.
«Tutto è nato con il mio bisnonno Carmine e suo fratello che, dopo essere emigrati negli Stati Uniti, tornarono al paesello per sposarsi e acquistarono il primo mulino di famiglia a Capua. Era il 1924 – racconta Antimo Caputo, che dal nonno ha ereditato, oltre al mestiere, anche il nome –. L’azienda è però nata a San Giovanni a Teduccio con nonno Antimo e nonna Maddalena, che oltre al mulino gestivano un pastificio». Pastificio oggi non c’è più: la famiglia Caputo, arrivata alla quarta generazione, si è specializzata nell’attività molitoria e produce solo farine (più di venti tipi diversi) di altissima qualità, con una macinazione lunga e materie prime selezionate.
Lo stabilimento storico è stato trasformato in uffici per la logistica e laboratorio, dove si esaminano i chicchi di grano.
L’anno esatto in cui Antimo, amministratore delegato, è entrato in azienda non se lo ricorda». Sono nato al mulino e lì sono cresciuto. Questo è il mio lavoro da sempre, fin da bambino ho imparato a riconoscere gli odori delle farine e le diversità tra i vari chicchi di grano».
Il mestiere, così come lo chiamano al Mulino, Antimo l’ha imparato sul campo, da papà Carmine (oggi presidente) e zio Eugenio (responsabile dei grani). Ma lui, che è della quarta generazione di famiglia, si è laureato in Economia e commercio e da quando è entrato ufficialmente in azienda un po’ di cose sono cambiate. A partire dall’apertura ai mercati esteri: ora esportano in oltre 80 Paesi, coprono tutta l’Europa e oltre il 35% del fatturato arriva dall’export.
Nel 2013 il gruppo ha acquistato un altro mulino, a Campobasso, e nello stesso anno è iniziato quello che è denominato Progetto Campo Caputo. «Si può definire circolo virtuoso: il progetto inizia con la scelte del seme e prosegue con le fasi di raccolto e stoccaggio, puntando su grani locali di altissima qualità». Nel 2016, dopo l’acquisizione dell’azienda Il Centro, che produce farine senza glutine, i Caputo passati dal fatturato di 57 milioni nel 2016 ai 65 milioni del 2017. Per la fine del 2018 c’è già in programma il lancio dei primi prodotti finiti senza glutine, con il marchio Fiore Glut. E, lentamente (ma non sulla crescita) il Mulino continuerà a macinare.
*L’Economia, 11 giugno 2018