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Professor Andreoli, alla luce degli studi fatti sul cervello, come possiamo definire oggi quest’organo?
Negli ultimi trent’anni anni la scienza ha modificato completamente le conoscenze che avevamo. Prima pensavamo che il cervello fosse determinato e, passata una certa fase dello sviluppo, funzionasse in un dato sistema. Invece abbiamo imparato che del cervello esistono due parti: una geneticamente determinata e che si struttura dopo la nascita, un’altra plastica che ha la caratteristica di organizzarsi sulla base delle esperienze. Le parole stesse, la relazione, il fatto di vivere un’esperienza traumatica o meno, tutto questo organizza la parte plastica del cervello, che poi è quella dell’apprendimento e delle cosiddette funzioni superiori. Partendo da qui, all’incontro fornirò dei dati sulla bellezza del cervello per confrontarlo con il cosiddetto cervello artificiale, quello che teniamo in tasca.
Ci può anticipare qualche aspetto di questo confronto?
Il nostro cervello ha due funzioni: la razionalità e l’affettività. Il telefono non ha niente a che fare con la seconda. È capace di dare emozioni, ma non di stabilire i legami sentimentali propri di una relazione. La prima caratteristica, invece, è alla base del pensiero razionale, ovvero della nostra civiltà, la quale si fonda sul dubbio. Il cervello digitale non ha dubbi, è yes or not. Se il cervello che abbiamo in tasca prende il sopravvento, tutto il mondo diventa quello con il dito in su o in giù. Com’è possibile ridurre le cose del mondo al “mi piace” o “non mi piace”?
Come si lega la scoperta del cervello plastico alla psichiatria?
Era il 1980 quando ho stabilito che il campo della psichiatria è il cervello plastico, quindi come abbia a che fare con un cervello modificabile. Ciò ha permesso di reinventare il concetto di terapia, mentre prima dominava l’internamento (si ricordi Basaglia). Se prendiamo l’esempio dell’ossessivo, che ripete in modo rituale una stessa azione, è possibile smontare le strutture e i sistemi neuronali a cui si lega quel comportamento e quindi sciogliere la condizione che ne è responsabile. È straordinario, oggi, il campo che si apre. Io vorrei trasmettere al pubblico la bellezza della scienza.
Qual è la differenza tra comportamento normale e comportamento folle?
Bella domanda! Per capire il comportamento di una persona qualsiasi occorre tenere conto di tre fattori. Primo: la biologia, ossia i geni che guidano il cervello nella sua costruzione e permettono sia la sua determinazione sia la sua plasticità. Se ci si fermasse qui, sarebbe un disastro e si ritornerebbe a Lombroso (veronese come me, ho fatto di tutto per dimostrare che era storicamente importante, ma oggi non si regge nulla di quello che ha detto). Il secondo fattore è la psiche, leggi ‘personalità’, la quale non è un dato fissato. È sbagliato dire, infatti, che una persona ha una certa personalità perché, in realtà, essa si modifica continuamente in base alle esperienze. La storia di ciascuno di noi lo può dimostrare. Il comportamento, tuttavia, dipende anche da un terzo elemento: l’ambiente, inteso sia in senso geografico sia, soprattutto, in senso relazionale o sociale. In questo ambito rientra anche la cultura. Alla luce di questi tre aspetti, il confine tra normalità e follia sta nella ricerca di un equilibrio.
È dunque possibile prendersi cura della propria mente?
Certo, perché la plasticità, la modificabilità è guidata dai desideri, cioè da ciò che una persona vorrebbe essere. Il desiderio, come noi lo definiamo, è la capacità che ciascuno ha di pensarsi domani diverso da come è oggi. Sulla base dei desideri nascono i progetti, nasce la possibilità di cambiamento. Anzi, è la plasticità che dà la garanzia della modificabilità. Oggi in psichiatria non è più possibile dire “non c’è più niente da fare”. Stiamo conoscendo adesso il cervello e questo ci aprirà molte possibilità di cura. Ne sono felice. Da vecchio psichiatra ho visto tutti i passi per poter arrivare a una psichiatria scientifica.
Si parla spesso dell’importanza di adottare corretti stili di vita per mantenersi in salute, per esempio attraverso una sana alimentazione. Che relazione vi è con il cervello?
Il cervello ha una fame enorme. Il 20% delle energie che un uomo o una donna assorbe va per la funzione di questo organo, che è solo lo 0,2% del peso e normalmente usiamo dallo 0 al 16%. Un bambino di 4 anni consuma il 60% di tutte le energie che vengono introiettate, ma buona parte vanno nel cervello per organizzarlo. Se utilizzassimo tutte le funzioni nello stesso momento, non riusciremmo ad avere energie sufficienti, per questo ne possiamo adoperare solo una porzione. Quindi la fame è prevalentemente fame del cervello.
*Intervista pubblicata l’11 maggio 2018 nel sito di Fondazione Città della Speranza Onlus (http://cittadellasperanza.org)