Morta una candidatura olimpica, se ne fa un’altra. Forse. È l’amara sintesi di una giornata che ha visto audizioni, litigi, vertici e colpi di scena. Nel volgere di poche ore il sogno italiano a cinque cerchi è tramontato una volta ancora. Ma le tensioni hanno lasciato aperto uno spiraglio. Naufragata la triplice e fragile a intesa tra Milano, Torino e Cortina, oggi una delegazione del Coni porterà al Cio di Losanna il tandem Milano-Cortina. Con poche speranze, se la notte non avrà portato consiglio.
L’esclusione di Torino apre un nuovo fronte di scontro. Il M5S grida all’«imboscata» e fa trapelare che Luigi Di Maio stia meditando di far saltare la candidatura italiana. La Lega intanto segna un altro punto e punta a colorare di verde le Olimpiadi invernali del 2026, sempre che il miracolo si compia. Per capire che aria tira tra i leghisti bastava ascoltare ieri mattina il sottosegretario alla presidenza con delega allo Sport Giancarlo Giorgetti, mentre al Senato fermava i giochi e dichiarava il fallimento del tridente: «La proposta non ha il sostegno del governo ed è quindi morta qui». Amarezza, rammarico e una discreta arrabbiatura: «È anche un fallimento mio personale». Il Movimento è diviso. Luigi Di Maio pensa che i soldi dello Stato non vadano sprecati nell’avventura olimpica, mentre Stefano Buffagni tifa per l’asse lombardo-veneto: «Avanti con Milano e Cortina!».
Il piano B salta fuori a sorpresa pochi minuti dopo l’audizione di Giorgetti. I presidenti di Lombardia e Veneto lanciano Milano e Cortina per «non gettare tutto alle ortiche». È subito chiaro che Attilio Fontana e Luca Zaia si muovono con il via libera del sottosegretario e in asse con il sindaco dem Beppe Sala, interessato a conquistare per Milano quel primato che aveva invocato dal principio. Il Coni è con loro. Alle sei, quando sale a palazzo Chigi da Giorgetti, Malagò vede l’Italia favorita. Due ore dopo, un furioso presidente del Coni si mostra assai cauto sul finale di partita: «Le Olimpiadi senza il governo si possono fare, l’importante è che qualcuno metta le garanzie. Ma nel nostro Paese non è mai successo». Giorgetti gli ha confermato che il governo non tirerà fuori un euro e Malagò può contare solo sullo sforzo delle Regioni e sul «modello Usa», dove i soldi arrivano dai privati.
E Torino? Il presidente del Coni ha chiamato la sindaca Chiara Appendinoper sapere se la città sia ancora pronta a correre da sola: «Mi ha risposto che senza il governo non c’è la volontà». Telefonata gelida, visto che la sindaca aveva risposto picche alla lettera con cui Giorgetti venerdì chiedeva ai tre sindaci l’ok al protocollo di intenti, senza nemmeno informarlo di aver deciso per il no.
Se i 5 Stelle sono contenti di poter usare per la manovra i 380 milioni destinati ai Giochi invernali, Matteo Salvini strizza l’occhio al tandem lombardo-veneto: «Se i fondi li trovano loro e la spesa è limitata, perché no? L’importante è che l’Italia torni a essere protagonista». Parole scandite per marcare la distanza tra una Lega vogliosa di movimentare risorse e un M5S che frena. Il presidente Sergio Chiamparino sospetta «una manovra per tagliare fuori il Piemonte» e ricorda che il Cio è solito respingere candidature non sostenute dal governo. Di Maio attacca Malagò: «Paghiamo l’atteggiamento del Coni, che non ha avuto il coraggio di prendere una decisione chiara». Il presidente «dispiaciuto» rivendica di essersi comportato come il governo ha chiesto, perché il suo referente «è sempre stato Giorgetti». E qui Malagò rivela lo scontro in atto: «Parliamo non di problemi sportivi, ma politici. E io non dico nulla per rispetto del governo».