Non è un’influenza. Ce lo dicono i numeri. Ce lo dicono le unità di cura intensiva. Covid-19 non è un’influenza perché dal punto di vista immunologico è un nemico nuovo e, come tale, è del tutto sconosciuto al nostro sistema immunitario. Non avendo mai avuto prima d’ora alcuna esposizione al coronavirus Sars-CoV-2, non abbiamo sviluppato difese immunitarie come individui e come comunità, la cosiddetta immunità del gregge. Di fronte ad un nemico nuovo, la nostra arma migliore è non farlo circolare. Il contenimento del contagio è fondamentale, così come ribadirne l’importanza.
Atteniamoci, dunque, alle indicazioni delle nostre istituzioni. Limitiamo i contatti, rifuggiamo gli assembramenti, evitiamo gli spostamenti, se non strettamente necessari.
Come si comporta questo virus quando entra in contatto con noi? Cosa succede nel nostro organismo?
Il coronavirus Sars-CoV-2 causa un danno polmonare perché utilizza una sorta di “àncora molecolare” per attaccarsi alle cellule epiteliali (ossia di rivestimento) del polmone profondo: una proteina detta spike che dà al virus l’aspetto di una corona.
Contro il virus i nostri soldati immunologici combattono la loro battaglia, e non sappiamo perché in alcuni casi – i pazienti asintomatici così come i guariti – la vincano, e in altri no. Gli anziani, soprattutto, colpiti più duramente da Covid-19, verosimilmente perché il sistema immunitario invecchia insieme a noi e, dunque, funziona meno bene. Opposto il caso delle donne, meno colpite – o meno duramente – forse perché in generale capaci di attivare alcune risposte immunitarie meglio dei maschi. Anche i bambini sono relativamente risparmiati: non sappiamo esattamente il perché ma alcuni, fra cui un collega olandese pioniere del settore, sospettano che possa dipendere in qualche modo dai vaccini effettuati nei più piccoli, la cui protezione in alcuni casi va al di là del germe specifico contro cui sono disegnati. Questo perché i vaccini costituiscono un formidabile allenamento anche per i nostri soldati in prima linea (le cellule dell’immunità innata). E sono proprio loro che risolvono, nel 95% dei casi, i problemi legati all’incontro con i patogeni più disparati, con cui ci confrontiamo ogni giorno.
In risposta al danno polmonare innescato da Sars-CoV-2 si crea un’infiammazione che dà un quadro radiologico simile al vetro smerigliato. È possibile che, a quel punto della battaglia, si scateni un vero e proprio “fuoco amico”: una risposta infiammatoria eccessiva e fuori controllo, innescata dal sistema immunitario, che contribuisce al danno e lo amplifica, come accadde nella Sars. Il cardine della cura, ricordiamolo, al momento, è costituito dalle terapie di supporto nella nostre unità intensive, mentre i famaci per contrastare il virus vengono utilizzati ancora in modo empirico.
Approfondire le conoscenze sul virus e sul suo rapporto con il nostro sistema immunitario è molto importante per trovare nuove strategie di cura. Già esistono, ad esempio, potenziali strumenti per bloccare il fuoco amico, utilizzati per la cura di patologie autoimmuni. Pur con la velocità resa necessaria dalla situazione di emergenza, contro Covid-19 questi farmaci vanno sperimentati nel modo più rigoroso possibile, per il bene dei pazienti. In Cina è stato utilizzato un anticorpo che blocca il recettore di una delle parole dell’immunità, IL-6: si tratta di un farmaco normalmente utilizzato per l’artrite reumatoide. Non è l’unico, ne esistono altri. E di certo potrebbe avere senso pensare di bloccare anche altre vie dell’infiammazione. La situazione impone di studiare sul campo e sperimentare con rapidità, ma il rigore non può venire meno, mai. In Cina e negli Usa sono stati disegnati studi clinici rigorosi: confidiamo che lo stesso accada anche nel nostro Paese grazie al ministero della Salute, analogamente a quanto succede in altri Paesi europei e in Usa.
Fra le armi in lavorazione non dimentichiamo gli anticorpi: molti laboratori (anche noi in Humanitas) stanno esplorando la possibilità di utilizzo di anticorpi umani, o di loro di antenati, ma è un percorso appena iniziato. Lo stesso vale per i vaccini. Al momento sono in fase di studio circa 20 ipotesi diverse: identificare i bersagli molecolari è stato relativamente facile, grazie alle tecnologie più avanzate, ma i passaggi successivi fino ad una rigorosa sperimentazione clinica richiedono tempo.
In questa situazione di emergenza, dunque, non possiamo e non dobbiamo distogliere l’attenzione da tre elementi fondamentali. Il contenimento, accettando misure che non possono non essere draconiane. Il supporto ai nostri medici e infermieri in prima linea, che non smetteremo mai di ringraziare abbastanza. E, in parallelo, la ricerca, per rispondere – rapidamente ma con rigore – alle domande che emergono con forza dalla clinica. Per il bene dei pazienti che abbiamo oggi e che avremo domani.
L’autore è direttore scientifico Irccs Humanitas e professore emerito Humanitas University