Il più grande mistero dell’economia italiana inizia per A e si pronuncia in sei lettere: «Amazon». Di quello che è diventato il maggiore rivenditore del Paese non un solo numero complessivo dei fatturati, utili o volumi è noto. Uno dei più grandi gestori di dati al mondo ne lascia trapelare pochissimi sui suoi affari nell’ottavo Paese industriale.
Eppure Amazon in Italia è ormai un protagonista tale da attrarre su di sé l’attenzione di realtà più tradizionali: le agenzie di controllo. Nelle prossime settimane l’Agcom prenderà una decisione che si spiega proprio con il carattere imperscrutabile delle sue attività nel Paese. In dicembre l’Autorità delle comunicazioni aveva inviato al gruppo di Jeff Bezos una diffida a «regolarizzare la propria posizione». Il problema riguarda la sua natura di società di servizi postali, dato i volumi di pacchi che fa circolare. Solo il 24 novembre scorso su Amazon in Italia sono stati ordinati due milioni di prodotti, quasi il quadruplo rispetto allo stesso giorno del 2015. Il gruppo di Seattle dovrebbe dunque sottoporsi agli obblighi sui contratti o i contributi indicati dalle leggi nazionali e europee per i servizi postali. La prima reazione di Amazon è stata di non rispondere. Non entro le due settimane indicate dall’Agcom. Poi è partito un dialogo «complesso» – le parti lo chiamano così – che sembra proprio poter portare a una multa entro un mese, se Amazon non si piegherà.
Questo braccio di ferro è però solo un aspetto della trasformazione che Amazon sta imprimendo al tessuto delle imprese in Italia. Ieri l’agenzia statistica Istat ha mostrato che la fiducia fra i commercianti tradizionali è scesa sotto ai livelli del 2010; le chiusure nette di negozi nel 2017 sono state 10 mila secondo Confesercenti, mentre la grande distribuzione di elettronica di consumo scivola di nuovo nella crisi: giorni fa Trony ha annunciato il licenziamento di 500 addetti (chiude 43 negozi in Italia) e il mese scorso Mediaworld ha aperto una vertenza per l’uscita o il taglio ai salari di 700 dipendenti.
Con i suoi prezzi stracciati e le consegne a casa, Amazon è l’altro lato della medaglia del declino dei negozi. E in buona parte lo spiega. Le sue operazioni in Italia sono partite sul serio nel 2011 ma ora stanno esplodendo, a giudicare dal numero dei dipendenti: erano 1.158 nel 2015, sono 3.500 oggi e potrebbero arrivare a 6.500 nel 2021 con un piano di investimenti che ha già dispiegato 800 milioni.
Un’avanzata del genere presuppone di solito una crescita delle vendite e soprattutto degli utili, ma è qui che si apre la zona d’ombra. Amazon probabilmente fattura in Italia vari miliardi di euro, ma non lo dice. Né dice quanto né, soprattutto, se guadagna. Oppure se invece il suo catalogo da 175 milioni di prodotti, a prezzi spesso scontatissimi, genera perdite e per ora serve soprattutto a aprire il mercato facendo strage di concorrenti. Del resto per Amazon un rosso di qualche decina di milioni l’anno in Italia sarebbe del tutto sostenibile: lo può coprire qualche altra area dei ricavi da 177 miliardi di dollari (2017) del gruppo, specie in America e nei servizi «cloud» per computer.
Il gruppo di Seattle in Italia ha cinque fra società e «succursali», ma solo di quattro si conoscono i conti: quelli di Amazon Logistica, City Logistica, i call center di Cagliari e un’altra azienda di servizi. Ma queste sono solo le fornitrici infragruppo. Il cuore è nella «succursale» italiana della lussemburghese Amazon EU S.à.rl. (ci sono poi le consorelle di Francia, Germania e Spagna) e poiché questa entità non è una società in proprio, i bilanci non sono depositati. Non se ne conosce un solo numero. Si sa solo che Amazon ha versato un’una tantum da 100 milioni di tasse 2011-2015 all’Agenzia delle Entrate a dicembre, dopo un’inchiesta penale. Ma si possono tentare fondate ipotesi: secondo il Politecnico di Milano, l’ecommerce in Italia è esploso del 28% a 12,2 miliardi nel 2017 e in altri Paesi Ue, stima Alessandro Allegri di Ambrosetti Am Sim, la quota di Amazon supera il 60%. Fosse così, i fatturati italiani di Bezos si avvicinano ormai agli 8 miliardi di euro. Eppure il gruppo paga poche tasse in Italia perché, si spiega, «i nostri profitti sono rimasti bassi». La priorità è fare volumi e ripulire il mercato dei concorrenti, grazie agli sconti su qualunque tipo di prodotto. Solo dopo forse si vedrà quanto già annunciato la settimana scorsa solo per il servizio di consegne Amazon Prime: prezzo quasi raddoppiato a 36 euro.