Poche cose, fatte bene. È così che Riccardo Spolaor, amministratore delegato, ha fatto crescere Aluberg. Da trent’anni produce imballi in alluminio per il farmaceutico e l’alimentare. Due settori fondamentali nell’anno del Covid, che hanno permesso alla società di non accusare il colpo. Ma se il virus non ha pesato sui conti, non è bastato continuare ad avere ordini e clienti. È servita una grande capacità di gestire l’emergenza, visto che siamo alle porte di Bergamo, nell’epicentro della prima, tragica ondata pandemica nel nostro Paese. «L’abbiamo vista prima degli altri, e abbiamo fatto un piccolo Fort Knox».
Priorità assoluta: proteggere i 150 dipendenti, «la parte fondamentale» dell’azienda. Che ha, certo, linee di produzione altamente automatizzate: ma la chiave resta sempre il fattore umano. «Abbiamo un forte know how in tutti i processi, dal funzionamento del macchinario al prodotto finale», e sul fronte-vendita la relazione diretta è ancora più centrale: «Sarò alla vecchia maniera, ma per me la chiave è viaggiare, andare in giro». È così che Spolaor ha creato un network di clienti tra quattro continenti. Ed è così che Aluberg è cresciuta di anno in anno, arrivando nel 2020 a sfiorare i 90 milioni di fatturato.
Innovazione
È chiaro che l’innovazione ha un ruolo determinante. Primo comandamento: «Perché il prodotto sia eccellente, è fondamentale la qualità dei macchinari utilizzati». Perciò le linee vengono continuamente rinnovate, con impianti all’avanguardia che permettono non solo di rispondere agli elevati standard ovviamente richiesti dai clienti ma, anche, «costi di produzione diciamo “interessanti”».
I risultati sono una marginalità e una redditività a doppia cifra: quasi il 15% la prima, il 12% la seconda. Utili che in massima parte restano in azienda, a rafforzare il patrimonio e la posizione finanziaria: zero debiti e, anzi, attivo di cassa (17 milioni a fine 2020). È del resto la costante, tra i Champions.
A Spolaor oggi, 2021, anno di preannunciati grandi movimenti, la solidità dei bilanci apre non poche possibilità. Su tutte, quella di guardarsi attorno, pur se è una partita che si gioca su un terreno difficile. L’integrazione verticale «avrebbe poco senso, economicamente», mentre i competitor «sono tutti molto grossi: inavvicinabili, per noi». Intanto però è Aluberg, a essere avvicinata da fondi e investitori. «Ci fanno il filo tutti i giorni. Mi lusinga, ma noi non cediamo». Tanto più che resta sempre la possibilità dell’integrazione orizzontale, che consentirebbe all’azienda di offrire un portafoglio prodotti più ampio. La promessa è: «Terremo gli occhi aperti, in Italia e all’estero». La sensazione: forse non ci sarà troppo da aspettare.