La zona dell’Asia occidentale, che sta tra l’attuale Siria, o quel che resta, la Giordania e parte dell’Iraq, detta anche la Mezzzaluna fertile, ha avuto una importanza fondamentale nella storia dell’intera umanità. Come evidenziato da Jared Diamond, nel suo best seller “Armi, acciaio e malattie” (Einaudi), in questa area sono comparsi (circa nel 7.000 a.c.) la scrittura, le città e i primi grandi imperi. Il merito di queste innovazioni sono dovute alla domisticazione dell’agricoltura.
Tutta questa area aveva un clima di tipo mediterraneo con inverni miti e piovosi ed estati lunghe e secche. I cereali e i legumi sono piante che proprio qui avevano trovato un loro habitat e grazie al loro breve ciclo vitale, per cui non sprecavano energie nel costituire fusti legnosi, come gli alberi o i cespugli, producevano grossi semi molto commestibili per l’uomo. Fino al 10.000 a.c. l’uomo viveva prima di tutto di caccia e, in second’ordine, di raccolta di frutta selvatica. Dopo questa fase, a causa del declino delle risorse naturali (es. gli animali di grossa taglia), comincia a trasformarsi da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore. Il motivo? Perché conviene di più a lui e alla sua tribù.
E’ un processo lento che, anche per una mutazione occasionale, ha all’origine le piante. Basterebbe questo indicatore per guardare alle varie specie vegetali con un occhio diverso e più rispettoso. Se poi pensiamo che il petrolio, il carbone e lo stesso gas sono risorse energetiche non rinnovabili che nascono dall’energia del sole fissata dalle piante milioni di anni fa, il ruolo del mondo vegetale risulta essere ancora oggi decisivo.
In un libro, “Plant Revolution”, che ha tutte le caratteristiche per entrare a pieno merito per essere considerato un testo divulgativo (come funzionano le piante) e, contemporaneamente, un testo ispirativo (trarre elementi utili per altre discipline), il prof. Stefano Mancuso prova a ri-mettere al centro delle nostre riflessioni il sistema vegetale. Le piante hanno molte caratteristiche che le differenziano rispetto agli animali: sono stabili in un determinato luogo, non hanno un cervello, non hanno muscoli, non hanno occhi né orecchie. Sembrerebbero, quindi, destinate a soccombere a fronte dell’ambiente esterno. Eppure attraverso micro mutazioni sono in grado di sopravvivere in luoghi dove l’uomo non potrebbe rimanerci per lungo tempo. Spesso capita soffermarsi di fronte ad un arbusto e chiedersi: come ha fatto a crescere in questo posto? Le piante hanno la capacità di mantenere la propria organizzazione interna perché sono un sistema aperto che si relaziona con l’interno e con l’esterno, sopra e sotto il terreno.
Le soluzioni adottate dalle piante sono esattamente l’opposto di quelle messe in campo dal sistema animale: “Come in un negativo fotografico, ciò che negli animali è bianco nelle piante è nero, e viceversa: gli animali si spostano, le piante sono ferme; gli animali si nutrono di altri esseri viventi, le piante nutrono gli altri esseri viventi; gli animali producono CO2, le piante fissano CO2; gli animali consumano, le piante producono”.
La tesi di Mancuso, ordinario di neurobiologia vegetale all’Università di Firenze, sta nell’osservare il sistema vegetale per avere un approccio bio-ispirato a risolvere le nostre necessità quotidiane e, soprattutto, per risolvere le grandi questioni del mondo. La scorsa estate e l’attuale autunno saranno ricordati nella memoria collettiva come due stagioni particolarmente calde e con scarse precipitazioni. Secondo le ultime ricerche scientifiche, l’uomo è composto non del 60/70% di acqua, bensì fino al 99% del proprio corpo. Ma nel pianeta l’acqua presente è al 97% di origine marina e, quindi, non direttamente utilizzabile dall’uomo. Teoricamente, la popolazione mondiale ha a disposizione il 2% dell’acqua esistente nel pianeta, se si considera che un 1% è bloccato nei ghiacciai.
In una situazione di aumento della popolazione mondiale, e di climate change sempre più evidente, il problema dell’acqua è e sarà uno dei grandi temi del futuro. Da questo punto di vista, un’agricoltura in grado di assorbire meno acqua (le coltivazioni in Israele ne sono già un esempio) e di adattarsi a livelli più alti di salinità, sono delle soluzioni. Un’altra ipotesi di lavoro è quella di imparare da alcune piante che assorbono l’acqua non dal terreno su cui vivono ma dall’atmosfera, come alcuni cactus. Il grattacelo che ospiterà il Ministero dell’Agricoltura in Qatar è già stato costruito facendo tesoro dell’esperienza proprio dei cactus. Le piante sono tanto diverse da noi soprattutto nella loro distribuzione.
Noi siamo costruiti con un centro di comando – il cervello – e degli organi specifici – cuore, fegato ecc. -, dove tutto è collegato. I centri nevralgici sono essenziali per far funzionare l’intero sistema. Se proviamo a dividere il corpo umano in due, questo cesserà i suoi processi vitali. Se tagliamo una pianta in due parti, crescerà più forte di prima. Su questo modello antropocentrico abbiamo costruito tutti i sistemi che fin qui ci hanno aiutato a vivere e progredire: dal sistema famigliare, agli stati nazionali, alle aziende. Tutto si muove attorno ad un centro ben definito, che ha una sua gerarchia.
Per noi pensare a sistemi di vita diversa risulta difficile: ci vuole qualcuno da cui provengano precisi ordini, altrimenti è il caos. Nel 1969 Laurence J. Peter ha formulato un principio sempre molto ostico da accettare per chi lavora in una organizzazione: “Ogni membro di un’organizzazione gerarchica scalerà la gerarchia fin quando non raggiunge il suo livello di massima incompetenza”. Ad una prima lettura sembra un’ovvietà, e anche un paradosso. Peccato che dire al nostro capo che ha raggiunto la sua massima capacità di essere competente, il nostro licenziamento può essere una soluzione…per cambiare vita. Eppure se guardiamo dentro alle nostre aziende, scopriamo che questo principio, tanto difficile da digerire, è quanto mai praticato. Il principio di Peter non sarebbe un problema di per se stesso: abbiamo sempre funzionato così, e non ci è andata così male.
Gli attuali sistemi, però, hanno funzionato egregiamente in una situazione dove le variabili del governo non erano molte. Oggi la situazione è profondamente cambiata e un modello gerarchico affidato a competenti-incompetenti, può essere un ostacolo sia per definire la strategia che le scelte “spicciole” di un’azienda. Le piante come risolvono la questione? Pur dovendo stare ferme nel loro sito la loro soluzione è semplice grazie ad una struttura distribuita che ha nelle proprie radici (così nascoste da essere così importanti…) un reticolo straordinario di sensibilità e di visione. Sì perché se le piante non hanno una mente localizzata, degli occhi o delle orecchie individuate in una determinata parte del loro corpo, dispongono di una straordinaria capacità frazionata che permette loro di avere altrettanta capacità visiva e decisionale.
Le piante, in sostanza, sembrano costruite su un principio modulare e cooperativo che permette a loro di superare predazioni catastrofiche e ripetute: hanno un’intelligenza distribuita. Sembra che il loro modello sia fatto di una responsabilità diffusa e, allo stesso tempo, egoistica. Diffusa perché sanno reagire a eventi diversi in qualsiasi punto si verifichino; egoistica perché possono fare a meno di una loro parte. Possiamo pensare che questo sistema semplice ed efficace possa aiutarci a risolvere i nostri problemi organizzativi? Attribuire responsabilità diffuse è il sogno di tutte le organizzazioni. Chi non vorrebbe un operaio che stoppi la catena di montaggio quando si registra un problema e si faccia carico di chiamare la persona giusta per risolvere il problema? La prassi sembra discostarsi dalla realtà.
Le condizioni per creare una responsabilità diffusa, in un rapporto vero tra diritti e doveri a vasi comunicanti, sono ancora di là da venire. E’ invece sorprendente confrontare la topografia di internet, come fa Mancuso, con quella dell’apparato radicale di una pianta per non notarne le incredibili somiglianze; è facile osservare come alcune piattaforme cooperative nate sul web, Wikipedia in primis, abbiano mutuato proprio le caratteristiche distributive del mondo vegetale.
Se pensiamo alle nuove frontiere tecnologiche, come le smart factory (o le smart city), l’intelligenza diffusa è il presupposto del loro funzionamento. Qualche mese fa ha fatto scalpore, dopo un servizio sulla BBC, la storia di un’azienda svedese, di nome Crisp, che ha deciso da qualche anno di fare a meno del CEO. L’azienda prospera, nel senso che fa utili e cresce di fatturato, e i lavoratori hanno dichiarato di essere soddisfatti perché sono più responsabilizzati proprio perché non hanno un capo. Magari non ci stiamo accorgendo, un po’ come è accaduto ai primi cacciatori-raccoglitori che si stavano trasformando in agricoltori senza saperlo; magari le “esperienze internettiane” rimarranno confinate a casi importanti ma comunque isolati; magari, invece, le aziende stanno veramente cambiando e stanno diffondendo intelligenza che richiederà strutture simili a quelle del mondo vegetale.
Titolo: Plant Revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro
Autore: Stefano Mancuso
Editore: Giunti
272 pp; 20,40 Euro