Il tessuto industriale italiano costituisce un caso di studio di grande rilevanza per chi si occupa di sistemi di imprese, di innovazione e di crescita territoriale. Alfred Marshall ha descritto per primo i distretti industriali, Michael Porter ha costruito la sua analisi sui “clusters” industriali partendo dai distretti italiani.
La letteratura economica internazionale si è continuamente arricchita di analisi mirate a comprendere quali fossero le cause e le determinanti dell’esistenza di queste agglomerazioni di impresa, nate dalla dinamica del mercato, in contesti sociali fortemente coesi, dalla cultura del fare e dalla capacità di valorizzare capitale umano e conoscenze con una significativa propensione all’innovazione ed alla esportazione.
Una storia nota, su cui però è utile tornare. Ed è importante farlo oggi, dopo una crisi economica che ha modificato il paradigma dello sviluppo economico, con uno scenario internazionale fortemente modificato in Europa dalle dinamiche della svalutazione interna e, più in generale, della globalizzazione, mentre una lenta ripresa sta interessando anche il nostro paese, si intravede in prospettiva la fine del quantitative easing della BCE di Draghi e nel pieno della rivoluzione tecnologica del 4.0, nella quale il manifatturiero è attraversato da dinamiche ancora limitatamente prevedibili.
L’indagine, promossa da Italypost-L’Economia del Corriere della Sera-Special Affairs e già presentata sulle pagine di Libertà il 26 marzo scorso, è stata una preziosa occasione per individuare, con criteri soggettivi ma ragionevoli, le “500 PMI champions” italiane (fatturato tra 20 e 120 milioni, non appartenenti a gruppi) che, in piena crisi e nel pieno di un controverso processo di trasformazione incompiuta del paese, sono state capaci di conseguire risultati incredibili: una crescita media annua di almeno il 7%, profitti industriali pari ad almeno il 10% dei ricavi e una significativa solidità patrimoniale.
Queste imprese hanno determinato un ecosistema nazionale importante che genera crescita, si espande all’estero, innova stabilmente prodotti e processi.
Le stesse imprese possono raccontare le loro storie di successo, che sono una grande iniezione di fiducia per chi sta investendo in questi anni con coraggio e determinazione, magari ottenendo risultati diversi ma comunque positivi. Queste storie saranno raccontate in un tour nazionale che ha visto la prima tappa “locale” al Tecnopolo di Piacenza venerdì 20 aprile. In quella sede sono state anche presentate alcune delle otto imprese piacentine selezionate.
Oggi le PMI italiane di eccellenza hanno una nuova sfida davanti, rivolta alla ulteriore crescita dimensionale mantenendo gli elementi di solidità che le caratterizzano.
Le champions, ma anche quelle che champions non sono, devono affrontarla in un contesto ambientale complessivamente sfavorevole, dove però sono stati introdotti strumenti di policy (da Industria 4.0 ai Pir a Patent box) utili, ma ancora sottoutilizzati dalle imprese, in particolare da quelle di dimensione più limitata.
Occorre un nuovo salto culturale che deve essere fatto dal sistema Paese, dalle imprese stesse ma anche e soprattutto dagli ambienti in cui operano, dal sistema istituzionale, dalle agenzie formative e da tutti gli attori dell’ecosistema nazionale.
*Professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore