Prima Ignazio Visco. Poi Di Maio, Conte, Tria, Moscovici, perfino il ministro delle Finanze austriaco. Nel giro di poche ore le istituzioni italiane ed europee si schierano tutte contro Matteo Salvini e la sua crociata contro l’Unione. Se l’obiettivo era coalizzare tutti contro la sua narrazione e polarizzare il dibattito, il leader del Carroccio ci è riuscito anche stavolta. La scadenza del 26 maggio è vicina, e Salvini sente l’urgenza di recuperare i consensi persi con il caso Siri. Ma in mezzo ci sono le sorti del terzo debito pubblico del mondo e il giudizio di chi in ogni angolo del pianeta ogni giorno compra e vende i titoli a garanzia di quel debito. Negli uffici delle grandi banche d’affari, le uscite del leader leghista sono sale per la speculazione: due giorni fa un singolo ordine partito da una sala operativa asiatica ha fatto schizzare il rendimento di cinque punti. Ieri con un certo imbarazzo il ministro del Tesoro ha varcato la soglia dell’Eurogruppo, la riunione periodica dei ministri della moneta unica. Quando può, Tria se ne guarda bene dal fare sgambetti ai due azionisti di maggioranza. In questo caso la situazione glielo impone.
Salvini? «C’è un Documento di economia e finanza approvato da governo e Parlamento, stiamo lavorando per attenerci a quegli obiettivi», dice. Peccato che il vicepremier abbia promesso un deficit oltre il tre per cento, un debito al 140, e di voler «stracciare le regole che stanno massacrando l’Italia». Tria derubrica tutto a «campagna elettorale», eppure ammette che quelle uscite fanno danni, soprattutto in una fase delicata sui mercati, innervositi dalla crisi commerciale fra Stati Uniti e Cina. Il governatore della Banca d’Italia ci va giù molto più pesante: l’effetto dell’aumento dello spread sul costo dei prestiti «finora è stato limitato», ma «ora stanno emergendo segnali di tensione». E aggiunge: «La speranza è che, dopo le prossime elezioni europee, si ristabiliranno le condizioni per riprendere l’agenda delle riforme e spingerla avanti con rinnovato vigore.
Tria, comunque, non prende sul serio il rischio dell’Italexit, Visco sì: «Lo suggerisce il prezzo dei premi sui credit default swaps». Insomma, benché lo stato maggiore della Lega minimizzi, le sparate del vicepremier hanno provocato l’ennesimo terremoto politico. Quello sui mercati, che nei giorni precedenti aveva spinto lo spread fino alla soglia dei 290 punti, si è fermato: l’uscita a tenaglia Visco-Tria ha contribuito a farlo rientrare di una decina di punti.
Resta da capire quanto sia reale la determinazione di Salvini a violare le regole fino al punto da mettere in discussione la tenuta della credibilità dell’emittente Italia. In giro per l’Europa c’è imbarazzo anche fra gli alleati di destra di Salvini. Ieri a farne le spese a Bruxelles è stato Tria, reo di aver fatto poco per fronteggiare le richieste di Lega e Cinque Stelle. Il collega austriaco Hartwig Loeger è brutale: «Sfortunatamente noto che ha ceduto a Salvini invece di guardare la verità in faccia». Davanti a «governi populisti come in Italia, mi aspetto che l’Unione agisca in maniera uniforme. Il comportamento di Roma non può essere accettato». Loeger parla di rischio Grecia per l’Italia, e per questo invita Salvini «a pensare prima di parlare». Non è chiara la ragione per la quale Tria abbandoni in anticipo la riunione periodica dei ministri (oggi si svolge quella a 28) ma di certo per lui a Bruxelles l’aria è tornata pesante. Il commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici si limita a dire che «il debito italiano è già troppo alto»: i maliziosi pochi giorni fa hanno notato la sua partecipazione ad una iniziativa elettorale del Pd a Roma. Ma prima di risalire sul volo per Roma, Tria e il commissario si sono incontrati e parlati. La crisi di legittimazione delle istituzioni europee è tutta qui: un governo dell’Unione c’è, ma nessuno gli riconosce fino in fondo il ruolo di guida del continente. In fondo la campagna elettorale di Salvini si gioca tutta su questo terreno, e in pochi scommettono di veder tramutare le sue parole in fatti il 27 maggio. Se, come dicono i sondaggi, le elezioni confermeranno l’assenza di una maggioranza sovranista, è probabile che la Lega torni a più miti consigli. Ma non si può nemmeno escludere che una maggioranza fatichi a emergere prima dell’autunno, e nel frattempo i mercati anticipino il giudizio negativo di qualche agenzia di rating. Il rebus politico è nelle mani di Salvini, sempre più dominus della scena politica.