Quando si tratta di agroalimentare, il Veneto scalza la Lombardia e sale sul gradino più alto del podio dell’export italiano. Non importa se, a livello generale, le imprese venete sono responsabili di circa il 13,7% in valore di tutte le esportazioni mentre quelle lombarde da sole valgono oltre un quarto del made in Italy sui mercati globali. Nell’agroalimentare, è il Veneto la regione leader dell’export, soprattutto grazie al prosecco. E, dopo aver brindato al Vinitaly di Verona appena concluso, festeggerà anche al Cibus di Parma, al via lunedì 7 maggio.
I dati elaborati sono contenuti nell’Agrifood monitor di Nomisma: su quasi 41 miliardi di euro di cibo e bevande che l’anno scorso l’Italia ha distribuito sui mercati internazionali – un record, con un aumento di oltre il 5% rispetto al 2016 – la quota del Veneto è stata di oltre 6,6 miliardi. Non solo la regione è la portabandiera del comparto nel mondo, ma è anche quella dove la crescita dell’export agroalimentare è stata la più alta negli ultimi cinque anni: +37 per cento. Il merito del successo della locomotiva del Nordest – che è comunque seconda nella classifica delle regioni italiane per export complessivo – è soprattutto del segmento del vino (con il prosecco in prima fila per volumi). L’anno scorso le cantine e le cooperative della regione hanno spedito all’estero bottiglie per oltre 2,1 miliardi di incasso. La cifra più alta tra le regioni italiane. Il 2017 peraltro è stato un anno felice per tutto il vino made in Italy all’estero, con le esportazioni che hanno toccato quota 6 miliardi di euro, il 6,2% in più rispetto all’anno precedente. Oltre che al vino, si deve ai prodotti dell’agricoltura il primato del Veneto, unica regione italiana che in questo campo supera il miliardo di euro di esportazioni. Sul fronte dell’industria alimentare, invece, sottocategorie che hanno guidato la conquista veneta dei mercati esteri sono quella della carne lavorata e conservata e dei prodotti a base di carne (695 milioni di euro il valore delle esportazioni nel 2017) e quella di dolciario e caffè (694 milioni).
Con un distacco contenuto dalla prima in classifica, la medaglia d’argento dell’export agroalimentare regionale va alla Lombardia, con circa 6,3 miliardi di euro incassati nel 2017. Esattamente come nella classifica per export complessivo delle regioni, al terzo e al quarto posto per vendite dell’agroalimentare all’estero ci sono l’Emilia-Romagna (6,2 miliardi) e il Piemonte (5,5), mentre al quinto posto avanza la Campania – con 3,1 miliardi di fatturato agroalimentare all’estero – che nella classifica delle regioni per export a livello complessivo è soltanto nona. Se il Veneto è medaglia d’oro e in cinque anni è cresciuto del 37% all’estero, non è però la regione che nel 2017 ha saputo schiacciare di più l’acceleratore sui mercati globali dell’agrifood (in termini di variazioni percentuali): il Piemonte, per esempio, l’anno scorso è cresciuto del 10%, mentre la Liguria – soltanto 12esima nella classifica dell’export agroalimentare – ha messo a segno un aumento del 12 per cento.
Verso quali mercati si dirige l’agroalimentare italiano? I principali Paesi di destinazione sono tre: Germania, Francia e Stati Uniti, esattamente come succede per l’export made in Italy complessivo. Ma l’ordine delle destinazioni per peso dei mercati varia a seconda delle regioni: Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Sardegna e Calabria – un totale di nove regioni – vedono la Germania al primo posto. La Francia, invece, è la prediletta di Lombardia e Piemonte, giusto per citare due tra le regioni con maggiore vocazione all’export. Gli Stati Uniti sono la prima meta soltanto per Toscana, Abruzzo e Molise. Mentre la Campania mette al primo posto il Regno Unito.
«Gli Stati Uniti figurano tra le principali destinazioni – spiega Denis Pantini,responsabile dell’area agricoltura e industria alimentare di Nomisma – e il Regno Unito è tra i primi tre mercati di destinazione in sei regioni su 20. È evidente quindi che la situazione geopolitica legata alla Brexit da un lato, e le continue minacce di Trump di inasprire le barriere tariffarie dall’altro, non possono che creare qualche preoccupazione all’economia agroalimentare di diverse regioni. E mentre gli Stati Uniti presentano un’economia in crescita con prospettive a cinque anni di aumento del reddito medio disponibile, i consumatori britannici potrebbero invece vedere ridursi la propria capacità di spesa a causa di una sterlina che già dal referendum che ha sancito la Brexit ha perso oltre il 10% del proprio valore rispetto all’euro e che da marzo 2019 potrebbe ulteriormente svalutarsi».