La mini ripresa del Mezzogiorno rallenterà già quest’anno, complice il basso livello di spesa pubblica che vanifica la vivacità degli investimenti privati e dell’industria. Secondo le anticipazioni del rapporto annuale dell’associazione Svimez, nel 2017 il Pil è aumentato al Sud dell’1,4%, praticamente ai livelli del Centro-Nord (1,5%), ma nel 2018 la crescita scenderà all’1% e l’anno dopo allo 0,7% (contro l’1,2% del resto del paese). La Svimez parla di un «rischio frenata reale», stimato però in un contesto di neutralità delle policy, cioè prima di vedere se la legge di bilancio produrrà misure per cambiare questi numeri.
Gli investimenti pubblici e il 34%
Il riferimento, spiega Luca Bianchi, direttore Svimez, è innanzitutto al livello degli investimenti pubblici, che tra il picco del 2010 e il 2017 sono scesi di 4,5 miliardi. «Se nel 2019 si recuperasse per intero questo gap – è la tesi – il Mezzogiorno metterebbe a segno una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale rispetto a quella prevista, crescendo addirittura leggermente più del Centro-Nord». Non ci sono però novità sul fronte della famosa clausola del 34% minimo di spesa ordinaria in conto capitale. La direttiva per attuare il vincolo previsto dal precedente governo non è stata ancora emanata e l’emendamento preannunciato dal nuovo ministro, Barbara Lezzi, per ampliarne l’effetto includendo anche gli investimenti di Anas e Rfi non troverà spazio nel decreto estivo all’esame del Parlamento. Se ne riparlerà probabilmente solo con la manovra.
Gli investimenti privati e il lavoro
La ripresa del 2017 è stata trainata dagli investimenti privati (+3,9%), sebbene questi restino lontani di oltre 30 punti dai livelli pre crisi. Nell’industria in senso stretto sono aumentati del 7,5%, nelle costruzioni di quasi il 15%. Nello stesso anno la spesa pubblica corrente è diminuita di quasi l’1%, portando a -7% il calo cumulato dal 2008. In un quadro comunque frastagliato – Calabria, Sardegna e Campania che crescono di più delle altre regioni – è proseguito anche l’aumento dell’occupazione (+1,2%) ma resta un ritardo di 310mila unità di lavoro rispetto all’era pre-crisi. E c’è un problema di “qualità”: nel periodo di ripresa occupazionale 2015-2017, il tasso di trasformazione dei contratti a termine in tempo determinato è stato in media del 16% nel Centro-Nord, solo del 9% al Sud.
In questa fase – rileva l’associazione presieduta da Adriano Giannola – si è inoltre ampliato il dualismo generazionale con una frattura sempre più marcata tra giovani ai margini del mercato del lavoro e lavoratori a fine carriera, indotti a ritardare sempre di più l’uscita verso il pensionamento. In meno di dieci anni sono stati persi 580mila occupati tra i 15 e i 34 anni e in questa fase il tasso di occupazione è crollato dal 35,8% al 28,5%.
Il disagio sociale
Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato dal 2010, oggi a quota 600mila, nonostante la ripresa occupazionale. «È come se si fossero ampliate determinate sacche di emarginazione, che scontano oltretutto la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche» osserva Bianchi. Si amplia il disagio per la qualità dei cosiddetti diritti di cittadinanza, dai servizi sanitari e di cura per la persona all’istruzione alla gestione dei rifiuti all’efficienza degli uffici: l’indice Svimez sulla performance delle Pa, fatto 100 il valore più efficiente (Trentino Alto-Adige), vede tutte le Regioni del Sud sotto quota 61. Svimez suggerisce di rivisitare i progetti della programmazione comunitaria per intervenire anche nel campo delle infrastrutture sociali.
Lezzi e i referendum del Nord
Il ministro Lezzi trae spunto dalla proposta Svimez per ribadire il pressing sulle regioni – Sicilia e Calabria in testa – per accelerare la spesa dei fondi Ue entro il 2018. Poi il ministro apre un nuovo fronte politico con la Lega: stop alle richieste di autonomia spinta di alcune regioni, Lombardia e Veneto in testa, se prima non si attuano due principi chiave della vecchia riforma Calderoli sul federalismo fiscale: livelli essenziali delle prestazioni e fondo di perequazione.