Con il voto in Friuli Venezia Giulia riparte un Nord a forte trazione leghista. Sono direttamente riconducibili al partito di Salvini, infatti, i governatori di Lombardia, Veneto e Fvg ed è molto vicino alla Lega il governatore della Liguria Giovanni Toti. Nella mappa dell’Italia settentrionale al Pd restano Piemonte ed Emilia.
Tra poco si voterà anche in Trentino e in base ai risultati delle politiche del 4 marzo il centrodestra a egemonia verde appare come il grande favorito. Per completezza di informazioni bisogna però ricordare come i dem guidino anche Milano, che per la centralità che ricopre nell’economia delle regioni settentrionali si può considerare come una piccola città-Stato. Se usciamo dalla dimensione strettamente politica è interessante però sottolineare quella che si presenta come una correlazione: la mappa del rafforzamento leghista corrisponde in buona parte con i territori distrettuali. Laddove si segnala nel nuovo triangolo Varese-Bologna-Treviso (o forse Pordenone) la grande dinamicità delle imprese-lepri e un traffico di Tir sulle autostrade ai limiti della saturazione, tutto ciò comunque sembra andare nella stessa direzione dei successi del partito di Salvini. Le due traiettorie appaiono parallele ma non dipendono l’una dall’altra, anzi come ci ricorda uno studio dell’Ipsos sul segmento elettorale dei ceti elevati (imprenditori, dirigenti, liberi professionisti) dell’Italia del Nord il 4 marzo Salvini ha preso solo il 16,1% contro il 27,6% dei Cinque Stelle e il 23,6% del Pd.
Queste percentuali probabilmente verranno corrette dal voto friulano grazie a un possibile esodo dai pentastellati alla Lega, ma si prestano comunque a dare nuova linfa alla discussione sul retroterra socio-economico del voto leghista. Scelgono Salvini coloro che si sentono perdenti della globalizzazione (e apprezzano quindi le posizioni su immigrazione e legge Fornero) oppure scelgono Lega anche i vincenti, gli imprenditori dell’export favorevoli all’apertura del Paese? La risposta che la demoscopia ci ha dato finora è che i voti arrivano da entrambi gli ambienti, si tratta però di vedere le proporzioni e «il sentimento politico» prevalente.
La vittoria di Massimiliano Fedriga e il Nord a trazione leghista ci spingono ad affiancare all’analisi socio-elettorale anche una riflessione sui programmi, ovvero come i governatori possano spendere la loro rinnovata forza. L’idea che sta qualificando le prime dichiarazioni dei vincitori è grosso modo quella dell’autonomia: le Regioni leghiste sulla scia dei referendum veneto e lombardo intensificheranno la loro azione per conquistare più competenze su scala locale.
Già con il governo Gentiloni era partita una trattativa sull’allargamento del portafoglio regionale che alla fine si era rivelata meno complicata del previsto, nel nuovo contesto politico è facile che i presidenti leghisti possano alzare l’asticella e affrontare lo spinoso tema della ripartizione delle entrate fiscali.
E allora il rebus che si prospetterà ai salviniani è riassumibile così:l’autonomia per sua natura spezzetta poteri e competenze mentre il governo dei flussi reali dell’economia richiederebbe più governance unitaria. E posto che il Nord da Torino e Trieste alla fine è un’unica grande regione con un «sottostante» largamente omogeneo (il manifatturiero dei distretti), e presenta un’elevata tendenza all’intensificarsi della mobilità delle merci e delle persone, l’esigenza di un’agenda in comune si impone.
L’esponente leghista che più aveva l’idea che questi flussi si potessero/dovessero governare unitariamente, Roberto Maroni, ora appare fuorigioco e la suggestione della macroregione non sembra in cima ai pensieri di Salvini, se però la Lega non vuole rassegnarsi ad essere solo un partito da campagna elettorale — e non lo vuole — ha l’obbligo di fare i conti con la realtà.
Comandare il Nord comporta onori ed oneri. Dovrà ragionare come valorizzare la Regione A4, come accrescerne la competitività nel confronto con le altre aree forti dell’Europa e non potrà pensare di dimenticare la forte influenza che su quest’area e sul suo sviluppo esercita la potente calamita del manifatturiero tedesco.