Chissà perché la Borsa considera la Fervi un’azienda commerciale, e questo è corretto, ma poi la collega all’industria dei beni voluttuari. Dev’essere la bizzarria di qualche algoritmo, che ha preso la parte bricolage-hobbystica del business e ne ha fatto tutt’uno con quella (più complessa) della fornitura di attrezzature professionali per officine, cantieri, artigiani. Comunque sia: la classificazione al listino è un dettaglio di colore, che non cambia la sostanza. E quella Roberto Tunioli, uomo-guida della società di Vignola, la riassume così: «Con l’ultima acquisizione, a settembre, portiamo i ricavi a 50 milioni dai 26 del 2020 e dai 30 previsti quest’anno. Il totale investimenti degli ultimi dieci anni sale a 40 milioni. Senza la Borsa sarebbe stato tutto più complicato». Anche e soprattutto, ovviamente, trovare i capitali che hanno trasformato la piccola azienda modenese in una delle mille imprese Champions nazionali, con un tasso medio di crescita di oltre il 16% e profitti operativi superiori al 18% del fatturato. Sono dati pre-Covid (i bilanci analizzati vanno dal 2013 al 2019), ma il 2021 è già tornato a quei ritmi. Tant’è che Piazza Affari ha portato il titolo ai record assoluti e lo valuta, oggi, il 60% in più rispetto a 12 mesi fa.
Affari in Piazza
Delle performance borsistiche (+37% sull’anno, benché lontano dai massimi storici) dovrebbe essere soddisfatto anche Valentino Bravi, amministratore delegato e azionista della fintech Tas. È l’altro Champion quotato, tra i quattro incontrati da L’Economia e ItalyPost nella tappa bolognese del tour tra le migliori piccole-medie aziende del Paese. Del mercato azionario ha però una visione decisamente opposta a quella di Tunioli. Così come il numero uno di Fervi sintetizza bene le ragioni per cui la metà (suppergiù) dei «campioni» è convinta che la quotazione possa aiutare in molti modi la crescita, il suo omologo in Tas finisce in un certo senso con il condensare le ragioni dell’altra metà. Ovvero quella che la Borsa la esclude quasi a priori, frenata dai timori di perdere il controllo e l’autonomia, di dover sottostare a troppi obblighi, di mettere in piazza gli affari di famiglia. Oppure, semplicemente, dalla convinzione di poter continuare a finanziare lo sviluppo in proprio. Okay. La Tas — 65 milioni di ricavi previsti quest’anno contro i 52 prepandemia, 8 milioni di utili netti su 61 di fatturato nel 2020 — è tra i 32 Champions che l’opzione-listino l’hanno esercitata. Non ieri: vent’anni fa. Oggi, le famiglie Bravi e Pardi (l’altro socio di maggioranza) hanno scelto la vendita al private equity olandese Gilde, con successiva Opa e dunque delisting (Bravi ha preannunciato il reinvestimento). Motivazione ufficiale: «Dobbiamo crescere in Europa. Con Gilde possiamo». Con lo strumento-Borsa no? Verdetto tranchant: «Ci costava mezzo milione l’anno. Soldi buttati: se c’è un vantaggio, io non l’ho trovato».
Altri — la maggioranza, va detto — invece sì. Anche in ambiti inaspettati. Esempio: l’attrattività dell’impresa per figure professionali chiave. Possono essere i talenti senza i quali è complicato fare progettazione o design, o i «meccatronici», o più semplicemente bravi direttori finanziari, commerciali, delle risorse umane, ma non c’è azienda impegnata nella corsa alla ripresa post-Covid che non metta il te ma «personale» al centro dell’agenda. Assumerebbero, e non ci riescono Cercano, e non trovano. Potrebbero correre più forte di quanto già non facciano, anche al netto dei nodi materieprime-noli-chip, ma dal mercato del lavoro sembrano spariti gli ingegneri come i saldatori e i tornitori, i responsabili della logistica e i magazzinieri, i supertecnici da digital manufacturing e gli informatici, persino.
Cacciatori di talenti
Per i Champions la questione non è pagare meglio: lo fanno, in genere. Però, da piccole-medie aziende, se non hanno un brand sono per definizione meno appealing dei grandi gruppi o di chi il brand ce l’ha. Lo stipendio più alto spesso non basta ad annullare il gap. Essere quotati può fare la differenza, secondo Tunioli: «Avete presente quanti marchi concorrenziali ci sono dalle nostre part, tra Food e Motor Valley? Ecco. Grazie alla visibilità che ci ha dato la Borsa abbiamo assunto persone che, prima, non ci avrebbero neppure preso in considerazione».
Dopodiché, quelle persone occorre non perderle. Federico Nessi, amministratore delegato della modenese Eternedile (92 milioni di fatturato, il doppio rispetto a sei anni fa, e 9,5 di utili netti), i talenti li trova anche: «Ma il nostro è un settore molto complesso e io li devo formare da zero. Da lì in poi, c’è la corsa a portarceli via». Senza far la fatica di investire in formazione.