L’onda lunga dell’austerità arriva fino ai vertici delle banche tricolori. I dieci maggiori istituti di credito italiani hanno tagliato del 7,2% nel 2017 gli stipendi dei loro consigli d’amministrazione. Il bottino, intendiamoci, resta ricco: il top management del settore ( inclusi i dirigenti con responsabilità strategiche) si è messo in tasca 108 milioni di euro. La moral suasion della Banca d’Italia ha convinto però un po’ tutti a fare un gesto di buona volontà: la crisi delle banche dal 2008 ad oggi è costata 22 miliardi ai contribuenti e 40 circa ai risparmiatori. E alla fine persino i manager di casa nostra – che l’hanno scorso avevano guadagnato il 13% in più – hanno deciso di tirare un po’ la cinghia, malgrado i risultati economici e in Borsa delle loro aziende siano stati nel 2017 tutto sommato positivi.
Il cda più ricco d’Italia resta quello di Mediobanca (anche per la sua natura di banca d’affari) che si è premiato con 11,9 milioni di stipendi. A Piazzetta Cuccia ci sono ben 17 persone che guadagnano oltre un milione di euro l’anno. Il Paperone dei banchieri nazionali è però Carlo Messina di IntesaSanPaolo, con una busta paga di 4 milioni (11mila euro al giorno, festivi compresi) più azioni per altri 1,4 milioni. Ca’ de Sass ha però tagliato lo stipendio complessivo del cda, sceso nel 2017 del 14%.
L’Oscar dei risparmi va invece a Jean Pierre Mustier, il numero uno di Unicredit. Lui si è “ accontentato” ( si fa per dire) di compensi pari a 1,2 milioni malgrado i titoli della banca siano cresciuti del 14% lo scorso anno e l’utile operativo del 16%. Il suo stipendio è inferiore rispetto a quello degli amministratori delegati di due realtà decisamente più piccole come Bpm e Ubi. La vera sforbiciata è però quella riservata al top management di Piazza Cordusio: il cda è stato pagato in tutto 5,1 milioni, il 24% in meno del 2017. Cifre lontane anni luce da quelle guadagnate prima del crac della Lehman. Nel 2007, per dire, il vertice di Unicredit si era spartito 14,9 milioni. Quello di Intesa 18,7, 10 milioni in più dei compensi attuali.
I capricci dei mercati hanno convinto i banchieri tricolori a rivedere negli ultimi anni la struttura della loro busta paga, spostandone (anche per motivi fiscali) buona parte sulla parte fissa dello stipendio – pari oggi al 78% alla remunerazione totale – e riducendo bonus e incentivi in azioni. Una scelta che ha consentito ai vertici di Carige e Mps di incassare rispettivamente 3,6 e 4,4 milioni malgrado la pesante crisi dei due istituti e il crollo delle azioni in tasca ai loro soci.
La remunerazione dei banchieri italiani, malgrado i sacrifici post- crisi,non è poi troppo distante da quella dei concorrenti (spesso più grandi) del resto d’Europa. John Cryan, numero uno di Deutsche Bank, ha rinunciato quest’anno a tutti i bonus ed è stato pagato 3,8 milioni, meno di Messina. La stessa cifra ha incassato Jeff Staley di Barclays mentre dopo tanti anni di vacche magre ( causa buco dei mutui immobiliari) sono tornati a festeggiare alla grande i manager del credito spagnolo: Ana Botin di Santander si è messa in tasca 5,6 milioni, Francisco Gonzales (Bbva) 5.
Noccioline, ovviamente, rispetto alle remunerazioni a stelle e strisce: il numero uno di Bank of America ha guadagnato 23 milioni di dollari, quello di Citigroup 23. La vera America – parlando di banchieri – è ancora quella dall’altra parte dell’Atlantico.