Gli anni di mandato che mi aspettano in Confindustria saranno quelli della sfida più impegnativa dal secondo dopoguerra. L’obiettivo è riconquistare in due o al massimo tre anni non solo i 9-10 o forse più punti di Pil, che si prevede l’Italia perda in questo 2020, ma anche i tre punti che a fine 2019 ancora ci separavano dal 2008. La lezione alle nostre spalle parla chiaro. Ogni tentativo di perseguire soluzioni attraverso bonus a tempo, interventi a margine nel sistema fiscale o nuova spesa sociale a pioggia, con improvvisati nuovi strumenti che si sommano confusamente a quelli già esistenti, si è rivelata un’illusione.
Ed è un’illusione ancor più temibile oggi. Dobbiamo porre al centro dell’agenda nazionale una visione di profonda e positiva discontinuità.
Mi limito a tre considerazioni sull’enorme sforzo che ci attende. La prima considerazione riguarda lo Stato e la Pubblica Amministrazione. È fin troppo facile criticarli. Ma a noi imprenditori non interessa criticarli, vogliamo contribuire a cambiarli a fondo, in maniera strutturale.
Da quando il Governo si è dato un semestre di poteri d’emergenza, abbiamo dovuto confrontarci con un’infinità di fonti normative che hanno prodotto nuove regole in migliaia di pagine, tra decreti legge, Dpcm, linee guida, circolari applicative, interpretazioni prefettizie, ordinanze regionali e comunali.
Tutto ciò, in materia di imprese e lavoro, ha prodotto: una moltiplicazione di nuovi istituti e procedure autorizzative; decine di fondi istituiti nel bilancio dello Stato; una diversa cassa integrazione – per altro appena già riformata – invece di riunire in una sola quelle già esistenti; una miriade di bonus ritagliati dall’alto, con maniacale intento di distinguerne i criteri di accesso ai benefici; una crescita esponenziale di nuove detrazioni e deduzioni tributarie, settore per settore, per soglie di reddito realizzato prima del virus e perso per il virus.
E solo ora, su nostra richiesta, lo Stato ha imboccato quella che sin dall’inizio era la via più rapida e naturale per sostenere impresa e lavoro: non prorogare i pagamenti ma abbuonare le tasse, come avverrà per l’Irap.
Non se ne esce, senza mutare radicalmente questo modo di procedere. E l’obiettivo deve essere uno Stato equilibrato nelle competenze, non antagoniste tra centro e autonomie; con un fisco che sia leva di crescita, non ostacolo al suo procedere; con un welfare concentrato davvero su chi ha meno e su giovani, donne e famiglie, lavoratori a minor reddito e quelli da riorientare al lavoro. Proprio quei soggetti lasciati ai margini da una spesa sociale complessiva, che è sì sulla media europea, ma terribilmente squilibrata da molti punti di Pil in più destinati alla previdenza.
Riforme di questa portata vanno inquadrate in un credibile programma di riduzione strutturale del maxi debito pubblico italiano, che ha continuato e continuerà a renderci il Paese Ue più esposto ai venti di ogni crisi. Ma di questo la politica italiana continua a non volerne sentir parlare.
Quando la Banca centrale europea inizierà il rientro dei suoi acquisti straordinari sui mercati, un eccezionale sostegno all’Italia, senza che l’Italia abbia già definito un credibile rientro del nostro debito, quel giorno sarà una catastrofe per il Paese.
Alla prossima legge di bilancio occorrerà dunque un credibile piano di rientro del debito a cui vincolare il sostegno europeo per continuare a ricevere gli ingenti investimenti di cui l’Italia avrà bisogno per anni. Ingenti risorse, che la Ue sta mettendo a disposizione e che vanno usate.
La seconda considerazione riguarda la nostra visione per riprendere il cammino dello sviluppo.
In questi mesi, abbiamo di nuovo avvertito un forte pregiudizio anti imprese. Daremo la miglior risposta con il nostro Piano Strategico 2030/50, che presenteremo alle istituzioni, alla politica e a tutte le forze della società civile il prossimo autunno, prima della legge di bilancio. Per riprendere la via degli investimenti senza i quali non c’è futuro, due sono i caposaldi: la ripresa e il potenziamento di Industria 4.0 e l’affiancamento di analoghi incentivi per Fintech 4.0., rilanciando.
Su questi pilastri nel Piano Strategico 2030-2050 proporremo di concentrare le risorse delle nostre imprese su alcune priorità essenziali. Investimenti in innovazione e ricerca, capitale umano, sostenibilità ambientale e sociale delle nostre produzioni, nuove forme organizzative e contrattuali, qualificazione e sostegno alle filiere dell’export.
Rispetto a questo dovremo chiedere alla politica di raddoppiare gli investimenti pubblici che essa ha tagliato negli anni privilegiando la spesa corrente, e che ora più che mai servono nel campo delle infrastrutture di trasporto e logistiche, nella digitalizzazione e produttività dei servizi non solo pubblici, nella ricerca e nella sanità.
Nella scuola e nell’università il punto è rifondare i profili formativi, non solo assumere personale ma ripensare a cosa l’istruzione pubblica debba garantire rispetto ai tempi odierni e alle necessità del nostro mercato del lavoro. Le imprese ci sono anche per questo: sono pronte a offrire tutto il sostegno organizzativo e tecnico per rendere la formazione una sfida prioritaria da vincere nel prossimo decennio.
Infine, un’ultima considerazione che riguarda noi imprenditori. Serve da oggi stesso uno sforzo di dedizione assoluta. Le dure recessioni italiane ci hanno insegnato che le vittime della crisi rappresentano per la politica, purtroppo, una preda ambìta: una vasta platea da illudere elettoralmente che solo lo Stato potrà dal loro risposte di reddito e lavoro, e che a questo fine lo Stato deve estendersi sempre di più e tornare gestore dell’economia, raccogliendo sempre più tasse. Fino a richiudersi magari nei confini nazionali, rinnegando le scelte europee e occidentali che della rinascita italiana sono state premesse e colonne. Insomma: dieci, cento, mille Alitalia. A noi toccherà continuare a direno: reddito e lavoro a milioni di italiani possono darlo solo le imprese e i mercati, gli investimenti e l’equilibrio della finanza pubblica.
Lo faremo con la nostra unità e con la forza delle nostre proposte concrete. Senza alcuna tentazione di sostenere questo o quel partito. E senza mai pensare neanche per un istante a diventare noi, un partito. Diamoci tutti una mano, e sono certo che ci riusciremo.