Gli altri manager italiani dicono di Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia, che è un «collega fortunato». Gli invidiano e riconoscono la posizione, i risultati e la possibilità di avere alle spalle un azionista, la famiglia Benetton, che permette di lavorare su progetti di lungo termine. Anche per questo nell’interminabile querelle su virtù e rendite del nostro capitalismo, sulle tante occasioni perdute e le sfide ancora aperte, l’affare Abertis si presta a una lettura sistemica. L’espansione internazionale ruba la scena alle tariffe, il business della mobilità promette molto, una multinazionale italiana si candida alla leadership mondiale, si tentano nuovi intrecci tra il mestiere del concessionario e le costruzioni. Tutte novità di cui chieder conto allo stesso Castellucci.
Cominciano dalla storia dei rapporti italo-iberici. Dodici anni fa Abertis voleva comprare Autostrade e il governo di Roma si oppose. Ora quello di Madrid, a parte scambiate, pur dopo lungo travaglio, dà via libera alla soluzione Atlantia-Acs-Hochtief. Cosa è cambiato?
«Al tempo non si trattava di un’acquisizione ma di una fusione. Ora la struttura finanziaria dell’operazione è differente, non è prevista nessuna diluizione degli azionisti ma il progetto industriale è lo stesso. Conquistare la leadership mondiale delle concessioni autostradali. E alla fine è proprio il contenuto industriale che conta».
E i governi no?
«Un’operazione se ha una buona valenza industriale e crea sinergie, alla fine trova anche la capacità di convincere le istituzioni».
Attorno all’industria della mobilità si stanno appuntando molte attenzioni. Stiamo andando verso una scontata fase di consolidamento o stanno nascendo anche nuovi spazi di business?
«C’è un segmento che spicca. Penso che ci sia una domanda di mobilità individuale delle persone che oggi non è servita da nessuno. Gli spostamenti nel territorio urbano e semi-urbano, fonte di grande scontento, non godono di un buon servizio. C’è una richiesta di mobilità veloce e di qualità nelle megalopoli e l’operazione Abertis è una risposta a questa domanda. La più importante gara di concessione del mondo al momento riguarda la nuova rete autostradale di Sidney, 100 chilometri nella città. E noi in Australia ci saremo in posizione privilegiata grazie alla partnership con Hochtief. Le aggiungo che il modello di riferimento nel mondo è oggi Santiago del Cile dove siamo già leader di mercato».
Se è questa la nuova frontiera del business della gestione autostradale avete concepito il deal con Abertis perché da soli non avreste potuto entrare in gioco?
«Con Abertis e Hochtief saremo presenti in Paesi come Australia, Stati Uniti, Germania e Canada dove si segnalano le occasioni più interessanti. Sto parlando di una gestione che dà all’utente un migliore servizio a fronte di pedaggi più elevati».
Anche l’ingresso in Hochtief è una novità. Ma business delle costruzione e gestione della rete sono un’abbinata vincente? Gli esempi che vediamo in Italia non lo sono.
«Se a guidare sono gli interessi della società di costruzione non si va molto lontano e anzi si creano incroci pericolosi. Se invece a guidare le scelte sono il mercato della mobilità e le concessionarie si può sicuramente creare valore per sé e per gli utenti».
Quindi non siete entrati in Hochtief per ammorbidire Florentino Perez?
«Le assicuro che si tratta di un’opportunità, non di una necessità. Non dimentichi che Hochtief è forse la migliore società di costruzioni al mondo in cui il mattone rappresenta il 50% e il resto è engineering ».
Con questa operazione si sposta l’asse degli interessi di Atlantia? Andrete a giocare in trasferta e uscirete dalle polemiche sulle concessioni, il “capitalismo delle tariffe”, il rapporto con i governi?
«La nostra non è una fuga dall’Italia, tutt’altro. Abbiamo però la necessità di competere a livello globale per ottimizzare il costo del capitale grazie a una pluralità di fonti di finanziamento e di impiego. Puntiamo a essere competitivi in ogni Paese, mantenendo però in Italia il cuore degli investimenti infrastrutturali».
Per reggere una competizione globale ci vuole un management ampio. Vi dividerete in due tra Italia e Spagna?
«Abertis rimarrà con base a Madrid. Conosciamo da tempo e abbiamo fiducia nel management attuale della società e non abbiamo obiettivi di discontinuità. Tocca poi a noi assicurarci che tenga fede agli impegni e raggiunga gli obiettivi prefissati. Lo farò personalmente entrando nel cda».
Perché siete interessati alle torri di Cellnex per le telecomunicazioni?
«Ci siamo presi un po’ di tempo per decidere, siamo convinti comunque che nel settore si vada verso un consolidamento e nuove aggregazioni societarie. Potremmo pensare di far parte di questo processo».
E il Telepass? Sta diventando un sistema di pagamenti ad ampio raggio, fin dove vi spingerete?
«Il Telepass è una tecnologia leader d’Europa e sta crescendo fortemente. Abbiamo creato un nostro sistema di pagamenti nei servizi di mobilità che si sta rivelando efficace. A oggi pedaggi, parcheggi, benzina, diciamo mobilità in senso lato».
Per concludere, alla fine avete speso molto meno di quanto preventivato nella prima ipotesi di Opa su Abertis.
«Investiamo 6 miliardi di euro. È una cifra che il nostro bilancio si può tranquillamente permettere senza perderne in solidità».