In viaggio con Dante alle origini del nostro amor di patria
Il nuovo libro di Aldo Cazzullo è un viaggio nella “Commedia” che contribuisce a illuminare il mistero di un autore immortale
Solo alla fine del libro, il Dante di Cazzullo “tutto il vedrai”. E proprio come Farinata “dalla cintola in su”: sino al naso sommamente aquilino e all’alloro sulla testa. “S’è dritto” anche lui, con il De vulgari eloquentia sotto il braccio e il viso tagliente da genio che piace a tutti, ma non a Beatrice. E forse la colpa fu proprio di quel naso da imperioso predatore che mai troppo si abbassò “di cielo in terra”.
E meno male. Ché se, al posto di quelle gote scavate e faziose “alla Pasolini”, Dante avesse avuto un viso tenero e rassicurante, forse anche Bice Portinari si sarebbe decisa “a miracol mostrare”. E passi se, come conseguenza, non avessimo avuto la “Vita nova”. Ma la Commedia …
Senza la Commedia, ci avverte Aldo Cazzullo, non ci sarebbero né l’Italia né la lingua italiana, e non ci sarebbe l’Amore che ha ispirato tutti gli amori, non solo “le note di Čajkovskij e di Rachmaninov, i versi di Silvio Pellico e di Gabriele d’Annunzio…” ma anche le canzoni di Venditti, Battiato, De Gregori, Guccini e Dalla.
Ma davvero Beatrice era Bice Portinari? “Colei che rende beati”, nota Cazzullo, non era certamente “una donna immaginaria: non ci si innamora così di un’idea astratta”. E infatti nell’identità italiana l’incanto dantesco diventa l’ideale di moglie: “di forte personalità, che lo sprona, lo rimbrotta, si fa obbedire; e lo guiderà con autorevole fermezza alla beatitudine e alla pace”. È la signora Cazzullo? No. È “la principessa azzurra”, la First Lady che l’Italia non ha ancora avuto.
Cazzullo racconta Dante anche così, con Vasco Rossi “che ha passato l’estate del coronavirus nella suite di Fellini al Grand Hotel di Rimini, l’ombelico del mondo”, la città del quinto canto dell’Inferno, “il più bello” perché celebra l’altra faccia della donna italiana, quella che non ti rende beato ma ti danna, “ti fa smarrire la retta via, la ragione, il buon senso”: (non) è Francesca. Dinanzi a lei anche Dante sviene: “caddi come corpo morto cade”. Anche se “va detto che Dante sviene abbastanza spesso”.
Non ci prova nemmeno a fingersi dantista, Cazzullo, che alla grande tradizione italiana del giornalismo divulgativo aggiunge il tocco dell’ottimismo che non avevano né Biagi, né Bocca né Montanelli. Il sentimento antitaliano cede il passo all’amor di Patria che, secondo Cazzullo, Dante ha inventato e Carlo Azeglio Ciampi ha restaurato. Cazzullo, che non omette un solo nome, una sola storia, affronta il viaggio nell’Aldilà come un viaggio nei valori e nelle virtù italiane raccontate attraverso i loro opposti: vizi, peccati, guerre civili. E si muove dentro la Commedia come dentro un aeroporto, imbarcandosi in tutti i canti.
Nella fragile superficie del lago infernale Cazzullo vede la profezia del Vajont, “quando davvero un montagna cadde in un lago senza neppure fare cric” (“cricchi” scrive Dante). E pre-vede la letteratura tenebrosa e l’horror di Stephen di King nel dannato con le mani tagliate, nel serpente che diventa uomo e nell’uomo che diventa serpente, in quello che tiene in mano la sua testa, in Lucifero che ha una testa e tre facce.
Attraversati gli Appennini, “dosso d’Italia”, e arrivato lì dove in eterna attesa del Ponte “Scilla tiene il lato destro” e “il sinistro l’implacata Cariddi”, Cazzullo racconta il terremoto del 1908, ma anche la grottesca nuotata elettorale di Beppe Grillo. Poi Cazzullo manda Dante al palio di Siena – “Or fu già mai gente sì vana come la sanese?” – per giudicare il fallimento del Monte dei Paschi.
Non è solo la Commedia che studiavamo al liceo, quella che il mio professore ci imponeva di imparare a memoria, 3 terzine al giorno, domeniche comprese, 21 a settimana, 90 al mese, al punto che gli bastava accennare “Ahi serva…” perché l’allievo, indicato a dito, continuasse: “Ahi serva Italia, di dolore ostello…”. Con Cazzullo la Firenze di Dante è quella della Resistenza, la città del “non ci arrenderemo mai”. E se “basandosi sulle parole di Cristo” Dante condanna i papi, Cazzullo lo rincuora: “Oggi papa Francesco è quel che Dante sognava che fosse”.
Cazzullo trova con Dante l’identità italiana, il famoso carattere che forse non esiste, ma se esiste “nessuno l’ha scritto meglio di così”. Tra tante celebrazioni, studi e cosmogonie, questo libro piccolo e leggero davvero contribuisce a illuminare il mistero dell’autore più difficile e più amato. Ci aiuta a capire perché in Italia, dove si parla molto male e si scrive sempre peggio, tutti sono dantologi e dantisiti, tutti ubriachi del poema sacro a cui ha posto mano cielo e terra.
*Repubblica del 17/10/202