Gli osservatori prevedevano che non ce l’avrebbero fatta. Che il post Covid sarebbe stato difficilissimo, che l’aggressione della Russia all’Ucraina avrebbe provocato sconquassi, che l’aumento del costo delle materie prime e dell’energia avrebbe messo in ginocchio il nostro tessuto industriale, che l’inflazione avrebbe provocato una recessione dalla quale sarebbe stato difficile uscire.
Invece, a leggere i dati sui bilanci delle aziende dagli anni 2015 al 2021, e le previsioni che le stesse aziende stanno comunicando al Centro Studi ItalyPost sulla chiusura del 2022 e le proiezioni sul 2023, si intuisce subito che le 1.000 migliori imprese italiane hanno saputo reagire in maniera ottima, se non straordinaria. I dati superano di gran lunga il 2019 tanto che dal Centro Studi di ItalyPost, il quale realizza da sei anni l’indagine, si parla di “biennio d’oro”.
E così questa mattina a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, si è tenuto l’evento di anniversario de L’Economia del Corriere della Sera dal titolo “L’Italia genera futuro“, durante il quale è stata presentata la ricerca, di fronte a molte delle mille Champions, che si sono riunite per raccontare le ragioni di questa vera e propria rinascita economica. Sono salite a rappresentarle sul palco, oltre ai vertici del gruppo RCS al completo, dal direttore Luciano Fontana a Urbano Cairo, imprese come la bergamasca “Da Vittorio”, lo chef stellato che ha costruito un’azienda Champion da 24,1 milioni di fatturato e oltre 5,8 milioni di Ebitda grazie ai servizi di catering, la veneta Morellato, attiva nella produzione e distribuzione di gioielleria e orologeria con un fatturato da 310,1 milioni e 88,5 milioni di Ebitda, la milanese Italian Design Brand, polo italiano nel settore dell’arredo e del design di alta qualità da 144,2 milioni di fatturato e 22,7 milioni di Ebitda e ab medica, azienda specializzata nella produzione e distribuzione di tecnologie medicali e punto di riferimento per la robotica chirurgica, dal fatturato di 275,8 milioni e 64,1 milioni di Ebitda.
Ad aprire l’incontro uno dei big dell’impresa italiana, Guido Barilla, a capo dell’azienda leader con base a Parma che oggi fattura due miliardi e il ministro Giancarlo Giorgetti. Il presidente di Barilla in particolare ha voluto sottolineare che “Per essere leader, in qualsiasi settore si operi, bisogna puntare su tecnologia e competenza, coniugando la tradizione all’innovazione. E se è vero che muoversi troppo in fretta è un rischio, lo è altrettanto rallentare”.
Il “Modello Emilia” cuore pulsante del Nuovo Triangolo Industriale
Dai dati aggregati forniti dal Centro Studi ItalyPost emergono peraltro alcune significative conferme delle indicazioni già visibili negli anni scorsi. La prima tendenza evidente leggendo i dati aggregati per singole regioni, e in particolare delle tre che compongono il “nuovo triangolo industriale”, è che l’Emilia-Romagna continua ormai da anni a primeggiare su Veneto e Lombardia. Una tendenza che si conferma nel 2021, soprattutto se si guarda non tanto al numero delle imprese leader presenti (influenzato soprattutto dal fatto che la Lombardia ha un numero di abitanti doppio rispetto a Veneto ed Emilia), quanto al fatturato medio e al tasso di crescita annua composto di queste.
Se è vero che la Lombardia ha 322 aziende leader e il Veneto 181 contro le “sole” 139 imprese emiliane, se si guarda al fatturato medio si scopre che nell’asse che va da Rimini a Piacenza queste aziende fatturano mediamente 101 milioni ciascuna, circa il 20% in più di quelle lombarde e venete, che si attestano rispettivamente a 84 e 82,5 milioni. Le imprese emiliane, infatti, a differenza di quelle venete che numericamente costituiscono il 18,1% del campione nazionale e il 17,8% del fatturato globale, pur essendo il 13,9% del campione, sviluppano il 15,1% del fatturato, oltre un punto percentuale in più rispetto alla media.
Ma, poiché il fatturato non è l’unico dato significativo, quello che colpisce nel “Modello Emilia” (per citare il titolo del libro di Franco Mosconi uscito in questi giorni) è il tasso di crescita medio degli ultimi sei anni, che si attesta al 13,44%, contro il 13,19% della Lombardia e l’11,94% delle imprese venete. Un dato che conferma ulteriormente che le imprese emiliane crescono ogni anno di più. Sebbene la Lombardia mantenga quell’1,5% di distacco annuo rispetto alle aziende venete, si nota che nel giro di una decina d’anni la crescita dimensionale delle imprese della regione “modello” si trasformerà in una crescita che supererà i 10 punti percentuali rispetto all’ex locomotiva del Nordest. Unico dato praticamente comune alle imprese champions delle tre regioni è la redditività, che si attesta attorno al 20% medio per tutte e tre. Infatti, l’Ebitda medio degli ultimi tre anni delle imprese lombarde (20,21%) è leggermente superiore a quello delle imprese emiliane (19,88%) e a quello delle imprese venete (19,38%).
Il tour nei territori e il Festival delle Imprese Champions
La ricerca, realizzata dallo staff di analisti guidati da Caterina Della Torre di Special Affairs, con il contributo di Crédit Agricole, auxiell e Insurance Connect, si calerà nelle prossime settimane nei principali territori industriali italiani attraverso sei incontri seminariali nei quali gli imprenditori protagonisti racconteranno i loro percorsi di crescita. Tra quindici giorni, invece, prenderà il via a Vicenza il Città Impresa, il tradizionale Festival delle Imprese Champions (www.festivalcittaimpresa.it) che vedrà protagonisti, oltre ad un centinaio di imprenditori, big delle istituzioni e del mondo dell’impresa come il Ministro Adolfo Urso o il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (noto per essere anche tramite la Curia di Bologna l’azionista di maggioranza di una impresa d’eccellenza come Faac), il Cardinale Matteo Maria Zuppi.
Zovico: “Le pmi hanno reagito meglio alle crisi perché snelle e più reattive”
“Ci troviamo di fronte a una realtà industriale che, paradossalmente, ha ritrovato grande slancio proprio durante i momenti di crisi – commenta il fondatore di ItalyPost, Filiberto Zovico –. Dopo anni nei quali parte dei commentatori raccontava di un Paese che non ce l’avrebbe fatta perché privo di grandi imprese, il tessuto dei piccoli e medi imprenditori ha dimostrato che la flessibilità e velocità di cambiamento nei momenti di difficoltà premia l’impresa italiana. Certo – continua Zovico – a differenza dei predicatori del “piccolo è bello” questa capacità di risposta proviene da quelle imprese che, pur partendo piccole, hanno incorporato la mentalità della crescita, della strutturazione manageriale, dell’implementazione dei processi snelli, dell’innovazione e della sostenibilità. Le imprese italiane ora sono più forti e consapevoli che, in ogni caso, crescere è un imperativo per essere in grado di restare protagonisti a livello globale”.